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Saper leggere nella bolla di vetro

di Kenneth Rogoff

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9 aprile 2010

Ora che l'economia mondiale torna a gonfiarsi, molti si domandano: «La prossima bolla verrà dall'oro? Dall'immobiliare cinese? Dalle borse dei paesi emergenti? O da qualcos'altro?». Per rispondere sinteticamente: «No. Sì. No. Sì (dal debito pubblico)».

Nel saggio sulla storia delle crisi finanziarie che ho scritto insieme a Carmen Reinhart, abbiamo riscontrato che spesso l'esplosione dei prezzi nel settore immobiliare alimentata dal credito facile è un segnale precursore delle crisi finanziarie. Una prolungata esplosione del debito pubblico, invece, è una caratteristica comune del dopo-crisi. Quanto alle probabili non-bolle, diciamo che nel decennio entrante le prospettive dei mercati emergenti sono migliori di quelle dei paesi industrializzati, e le loro banche centrali probabilmente vorranno continuare a diversificare le riserve. Ovviamente, volatilità estrema e correzioni in corso d'opera sono la norma.

Ma la domanda di fondo è se gli economisti sono o meno in grado d'individuare i segnali di una bolla pericolosa. Sono numerosi gli studi economici dedicati ad appurare se le bolle dei prezzi sono possibili in teoria. Io lo so bene, avendo realizzato studi del genere all'inizio della mia carriera. Nella classica tipologia di bolla, un'attività (ad esempio una casa) può avere un prezzo molto superiore ai suoi "fondamentali" (ad esempio il valore corrente del fitto figurativo) se ci si attende che cresca ancora di più in futuro. Ma quando i prezzi salgono sempre più in alto rispetto ai fondamentali, gli investitori devono prevedere che cresceranno a ritmi sempre maggiori per dare un senso a prezzi sempre più sfrenati.

In teoria, gli investitori "razionali" dovrebbero rendersi conto che, anche se la madre dei creduloni è sempre incinta, quando i prezzi delle case supereranno il reddito mondiale il gioco sarà finito. Calcolando a ritroso dall'inevitabile tracollo, gli investitori dovrebbero rendersi conto che la concatenazione di aspettative che è alla base della bolla è irrazionale, e dunque non può accadere. Vi sentite rassicurati? Io sì, ai tempi in cui frequentavo l'università. Ma poi arrivarono alcuni brillanti teorici che fecero notare che le bolle sono comunque possibili (in teoria) ipotizzando un mondo dove il tasso d'interesse reale a lungo termine, corretto in base al rischio, è inferiore al tasso di crescita tendenziale dell'economia. In sostanza, questa condizione poneva la possibilità che la bolla potesse crescere abbastanza lentamente da garantire che il costo delle case non superasse mai il Pil mondiale. Poveri noi. Subito, però, seguirono ricerche empiriche finalizzate a rassicurarci: il mondo in cui viviamo non è fatto in questo modo.

La scienza va avanti. Alla fine, gli economisti si sono resi conto che in un mondo reale strabordante di non linearità e mercati imperfetti, lo stesso insieme di fondamentali può, in teoria, supportare categorie di equilibri diversissimi. Dipende tutto da come gli operatori del mercato coordinano le proprie aspettative. In teoria, i prezzi possono saltare improvvisamente e senza criterio da un equilibrio all'altro, come se a determinarne gli spostamenti fossero le macchie solari. (Io sono convinto che questa idea di equilibri multipli che si rafforzano vicendevolmente sia strettamente legato al concetto coniato da George Soros, la "riflessività".)

Il vero problema non è se la teoria economica convenzionale sia capace o meno di razionalizzare le bolle. La vera sfida per investitori e decisori è quella d'individuare le deviazioni dai fondamentali economici importanti e pericolose per la tenuta del sistema, quelle che mettono a rischio anche la stabilità economica oltre che la semplice volatilità dei prezzi. La risposta, come dimostriamo io e Carmen Reinhart attingendo a secoli di crisi finanziarie, sta nell'analizzare in particolare quelle situazioni con aumenti forti e rapidi della leva finanziaria e dei prezzi delle attività, che rischiano d'implodere all'improvviso se la fiducia scende.

Quando scoppia una bolla azionaria, di solito gli investitori che hanno fatto soldi durante il boom s'ingoiano le perdite, e il mondo segna il passo. È quello che è successo, ad esempio, dopo lo scoppio della bolla azionaria nel 2001. Quando crollano i mercati del credito, ne segue inevitabilmente un prolungato dibattito su chi debba accollarsi le perdite. Sfortunatamente, succede fin troppo spesso che la dimensione del debito, specialmente del debito pubblico, venga tenuta nascosta agli investitori fino al momento in cui, dopo una crisi, tutto esce fuori all'improvviso.

In Cina oggi il vero problema è che apparentemente abbiamo dati eccellenti sulla distribuzione del debito, ma una scarsa comprensione della ragnatela di garanzie, implicite ed esplicite, che ci sta dietro. Ma non si può dire che sia un problema esclusivamente cinese. Perfino in un momento in cui il debito pubblico ufficiale schizza alle stelle, un'enorme quantità di garanzie e prestiti fuori bilancio continua a essere occultata per ragioni di convenienza politica, in tutto il mondo.

Individuare il momento giusto è difficile, come sempre, ma anche ora che la tendenza dei mercati globali è al rialzo, non è tanto complicato indovinare dove potrebbero annidarsi le bolle.
© Financial Times
(Traduzione di Fabio Galimberti)

9 aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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