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Google Italia non dichiara quanto fattura (più o meno 450 milioni di euro, la metà degli investimenti pubblicitari su Internet: soldi che finiscono dritti dritti in Irlanda, come ha spiegato Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera), ma di certo la sua è una posizione dominante sia nel mercato della pubblicità testuale a performance, sia in quello del principale servizio offerto, cioè la ricerca su Internet. Che ne abusi è da provare. E in questo senso c'è da attendere con fiducia l'Autorità garante della concorrenza e del mercato che sta indagando su segnalazione della federazione degli editori di giornali.
In Germania l'organismo di vigilanza sulla privacy, l'Uld, è intenzionato a intervenire per proibire o limitare l'attività di Google Analytics, il popolarissimo servizio che permette di ottenere statistiche sul traffico di un sito. E la commissione europea, in passato restia ad affrontare il Moloch Big G, potrebbe adesso cambiare linea: Neelie Kroes, infatti, il nuovo commissario europeo alla Digital Agenda, ha grande esperienza nelle politiche antitrust.
Ovviamente, Google opera a livello locale e globale al fine di evitare che i suoi servizi siano analizzati e indagati nel loro complesso dalle autorità di controllo e dagli organismi di tutela. L'obiettivo finale è impedire che qualcuno reclami e ottenga una parte dei suoi enormi profitti pubblicitari.
Tuttavia, finalmente, le anomalie e i troppi segreti del fenomeno Google - analizzati in due volumi appena pubblicati, Googled di Ken Auletta, in vendita solo negli Stati Uniti, ed Eretici digitali"di Massimo Russo e Vittorio Zambardino - sembrano non essere più un tabù.
Sempre più persone si chiedono perché la fiducia in Google debba essere come una fede. "Trust us", fidatevi di noi, ripetono Schmidt e i suoi come un mantra. E anche nel suo articolo, Schmidt dice che Google è una parte del problema complessivo dei giornali, ma può essere anche una parte significativa della soluzione. Giusto. Ma allora collabori davvero con loro e accetti di condividere con i giornali una minima quota dei profitti giganteschi che ha fatto e farà, visto che comunque i giornali sono la più potente "esca" per i navigatori che vanno sul motore di ricerca. Come? Semplicemente pagando i diritti di proprietà intellettuale.
In questo senso la nuova politica di First Click Free per ora sembra più un diversivo che un cambiamento di strategia. E tuttavia è un passo. Certamente troppo piccolo. Ma rivelatore della consapevolezza di un problema che c'è: come restituire valore ai contenuti informativi messi online dalle aziende editoriali, con costi crescenti, in modo da salvare l'informazione di qualità. È questa la partita in gioco. Ed è una partita di tale importanza che ogni mossa merita attenzione e rispetto. Vedremo se altri passi seguiranno.