Per molte delle nostre imprese più dinamiche, quelle più competitive sui mercati globali, la crisi è venuta con il crollo del commercio mondiale. A livello macroeconomico, la contrazione del Pil e quella degli scambi internazionali sono andate "in tandem", come rileva la Wto, che prevede un calo dei volumi del 10% nel 2009, il più grave dagli anni 30, anche se l'ultimo trimestre ha mostrato qualche timido segnale di ripresa: recessione e collasso degli scambi, insomma, si sono alimentati a vicenda.
La riduzione della domanda mondiale e l'interconnessione delle nuove catene internazionali di produzione, insieme a un aumento, per ora modesto, delle misure protezioniste sono tutti fattori che hanno contribuito al calo dei commerci. L'elemento nuovo in questa crisi è però la minor disponibilità di credito per esportatori e importatori. Secondo il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick, i problemi legati al trade finance hanno contribuito fino a un 15% della caduta dei volumi degli scambi.
È una difficoltà della quale la comunità internazionale si è resa conto, tanto che il G-20, già nel suo summit di Londra in aprile, ha cercato di mettere in moto dei meccanismi per ridare vitalità a un comparto dei mercati finanziari, quello dei finanziamenti al commercio, a tratti completamente congelato. Con un programma della Banca mondiale, il Global trade liquidity program, e altri interventi delle agenzie pubbliche di assicurazione dell'export e delle banche regionali di sviluppo, qualcosa si è mosso, soprattutto per il finanziamento ai commerci con i paesi del Sud del mondo.
Ma perché il credito al commercio internazionale – che per la sua natura di operazione a breve termine e di grande affidabilità era rimasto quasi sempre indenne nelle crisi finanziarie precedenti – stavolta ha subìto un così brusco stop? Perché le autorità, mentre da un lato si davano da fare per cercare di farlo ripartire, dall'altro evitavano d'intervenire sul vero ostacolo, cioè le nuove regole di Basilea 2 sul patrimonio delle banche. Secondo una simulazione della Bankers Association for Finance and Trade, nel passaggio da Basilea 1 a Basilea 2 lo stesso portafoglio di crediti al commercio costringe le banche a triplicare le riserve di capitale. In una fase in cui il capitale bancario è già scarsissimo, è ovvio come ciò abbia portato a una ritirata degli istituti da queste operazioni. Causando le proteste delle banche e delle imprese.
Per far ripartire in pieno la crescita dei commerci, allora, il G-20 deve sciogliere la contraddizione per cui, mentre cerca di favorirne il finanziamento attraverso l'uso d'istituzioni pubbliche, di fatto blocca l'operatività di quelle private. Le aree su cui Basilea 2 deve essere ricalibrata sono diverse, come è emerso anche nella discussione al Financial Stability Board. Nessuna però è più cruciale, per la ripresa dell'economia e della sua parte più dinamica, del trade finance.
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