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PIT STOP / L'etica funziona quando fa i conti con la realtà

di Guido Gentili

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9 marzo 2010

«Dirigenti e decision-maker che gestiscono bene i loro affari sono persone tecnicamente competenti, conoscono anche l'essere umano e sono in grado d'ispirare fiducia, quindi di apparire etici e realisti allo stesso tempo, anche se il modo più semplice e sicuro per sembrarlo è, a conti fatti, esserlo davvero».
Realisti? Sì, ma non nel senso di "giocare a Machiavelli". Piuttosto, nel senso che il coraggio morale dei decisori, «la virtù più preziosa, in particolare in democrazia», deve fare i conti con la realtà. Fino in fondo. Denunciare la corruzione, ad esempio, è meno facile di quel che può sembrare a prima vista. Perché «tutti i tipi di corruzione sono istintivamente solidali. Come affermava Voltaire: non vi è società possibile senza libertà di godersi in pace ciò che si è rubato».

In tempi di grandi dibattiti sulla crisi e la mancanza di regole, dopo la pubblicazione dell'Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI e nel pieno di una stagione che torna a interrogarsi sui limiti del capitalismo, un manuale di Etica delle decisioni ci sta bene. Tanto più se non è cosa ordinaria, com'è il caso del libro (edito nel 2004 in Francia, tra pochi giorni in libreria in Italia per le Edizioni Cantagalli) di Henri Hude, direttore del polo etico e deontologico del Centro di ricerca della prestigiosa scuola speciale militare francese di Saint-Cyr-Coetquidan. Un manuale per soldati, o meglio ufficiali superprofessionalizzati, dedicato però anche ai responsabili dell'economia e della politica.

Etica. Quante volte ne sentiamo parlare? Moltissimo e, lo nota nella prefazione Henri De Castries, presidente della grande multinazionale d'assicurazioni Axa, spesso superficialmente, utilizzando un vocabolario politicamente corretto, ma senza una riflessione. Già, perché «ostentare un'etica non è particolarmente problematico, metterla in pratica è tutta un'altra cosa».

Si può ovviamente essere o no d'accordo con le tesi di Hude, ma colpisce il suo approccio pragmatico. «Quando una legge non viene rispettata, non basta farne altre per risolvere il problema. Reprimere, infatti, non è una soluzione sufficiente: chi controlla e chi punisce perché dovrebbe essere meno corrotto di chi è controllato?».

D'altra parte, una visione realista è sì utile perché evita di farsi un'immagine idilliaca della società, ma nel lungo termine senza etica, senza una cultura morale, non sono possibili né la politica né l'economia.

Un altro ostacolo è l'ideologia. Quella comunista? Sì, ma anche il suo opposto, che s'inocula con lo psuedo-scetticismo morale e la cecità comunitaria. È la nuova ideologia privatista, dove ogni individuo è concepito come fosse uno stato e non vi è più bene comune. Ideologia - una sorta di bizzarro politeismo razionalista - che sembra rispettare il capitalismo mentre, scrive Hude, il suo soggettivismo arbitrario l'ha già fatto impazzire.

Non sarà dunque una fumosa riforma del capitalismo a dare una svolta in questa direzione. Non c'è "terza via" nel manuale per i decisori, ma il solido convincimento che l'economia di mercato è un'economia di libertà che trova nel meccanismo della fiducia il suo motore. Fiducia che non s'acquista a colpi di "codici etici" e non s'impone per legge, ma che s'afferma quando la persona ci crede, davvero. Come un buon soldato.

9 marzo 2010
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