Ogni volta che si uccide in nome di Dio si sta uccidendo Dio. Quel che accade in Nigeria, dove solo ieri sono stati uccisi quasi trecento cristiani nel sud del paese, la chiamano guerra di religione. No, è una guerra di empietà. È la tragica ripetizione di una mostruosa empietà: usare il nome di Dio per colpire l'altro. Per offendere l'altro. Per annullare e violentare l'altro. Accade lontano, ma non abbastanza per non inorridire. E in questa ripetizione di scene e di violenze già viste ci viene dentro una strana rabbia sorda. Quasi come se in quel paese martoriato da guerra e interessi potenti andasse in scena la medesima empietà di cui siamo stati capaci noi, dico tra noi Europei, in tempi lontani della storia e in tempi vicini. È come se rivedessimo in quell'orrore il nostro stesso orrore. La nostra stessa empietà: usare Dio per colpire l'altro uomo. Usare il nome di Dio per farlo fuori. Uccidendo Dio. Doppia empietà, quella dell'uccisione dell'uomo e dell'uccisione di Dio. Empietà che ha segnato la storia di Europa e che può continuare a emergere. Che non smette mai di lanciare i suoi segnali, multiformi e inquietanti.
Empietà suprema, somma della empietà contro il cielo e contro la terra.
Da tempo in Nigeria bande di musulmani armati fanno strage di cristiani nei villaggi. E viceversa. Innescando una violenza torbida e infinita. Una fame di orrore che si nutre di altro orrore. Entrano nei villaggi, sgozzano, amputano, tagliano le teste. I machete sono l'arma terribile di questa violenza. L'arma che ogni poveraccio può usare. Che può essere messa in mano a chiunque, non c'è nemmeno bisogno di saper sparare. L'arma che mentre colpisce l'altro uomo lo tratta come una bestia.
Il machete è l'arma che sfigura, che rompe e taglia contemporaneamente. È il segno di un colpo inferto con disprezzo, quasi che dal braccio, dall'impugnatura, dal gesto si comunicasse il supremo disprezzo per la vittima, colpita al pari di un animale, di una pecora, un toro, un frutto.
Non a caso nella scena finale di Apocalypse now, quella dedicata all'orrore con il gigantesco Marlon Brando, incarnazione del cuore di tenebra di Conrad, compare il machete. Sventrano, lasciano per strada, bruciano. In nome di Allah, secondo un copione che va in scena in molti paesi, cercano e eliminano i cristiani. Che si difendono. Che contrattaccano. E allora si dice guerra di religione. Ma è tutto meno che di religione. È di sangue, di odio, di potere. Guerra di empietà, bisogna chiamarla, non di religione. La più empia che ci sia. Che non risparmia i bambini, colpendoli nel nome di Dio. Uccidendo così i più indifesi quaggiù: i bambini, e Dio. E non risparmia le donne. E non fa distinzioni se non una sola grande distinzione: il tuo Dio è diverso dal mio. Come se Dio fosse una marca di automobile, una squadra di cui si fa il tifo. Una cosa che si possiede: la mia è più bella della tua. Invece che il mistero che tutti ci sovrasta infinitamente. E che dobbiamo seguire, non impugnare. Che dobbiamo onorare, non mischiare alla polvere da sparo. In un paese dove Islam e cristianesimo in gran parte protestante si dividono a metà o quasi la percentuale della popolazione la religione è diventata la facile bandiera per altri generi di divisioni.
I britannici inventarono la Nigeria nel 1914, la loro colonia unendo due zone diverse e fasce di tribù differenti: il nord musulmano e il sud cristiano, grosso modo. Ora tutto questo non tiene proprio più. Lungo un processo complicato e tortuoso, dalla fine dell'età coloniale a oggi, è cresciuta la pretesa islamica (spinta da ambizioni saudite) di applicare leggi coraniche. E le tensioni tra etnie differenti (Birom, cristiani e Hausa, mussulmana) sono esplose. Chiamano in causa Dio, sulla punta del loro machete, mentre invadono villaggi sparando indiscriminatamente. Ma Dio non c'entra. C'entra una storia di dominio che ha confuso le acque e i popoli, una pretesa di dominio "politico" dell'Islam che ha nell'elemento religioso un collante necessario. C'entra la ferocia è capace con cui gente obbligata a convivere ma di fatto mai amalgamata. C'entra la ricerca del potere.
In questi colpi dati in nome di Dio c'entra di tutto. Meno che Dio. Ai cristiani, come mostrano i fatti di ieri, tocca di più la parte di vittime. Questo ci fa fremere, perché in Nigeria come in altre parti d'Africa si intravede un disegno di guerra di conquista islamica. Che va fermata. Non con violenza in nome di Dio, ma con la politica in nome della libertà di onorare Dio.