Ci sono state almeno tre vite nella vita di Alberto Ronchey, morto venerdì scorso a 83 anni. Il grande giornalista e saggista, inviato speciale ed editorialista scettico, direttore della Stampa e firma di Corriere della Sera e Repubblica; l'uomo di cultura prestato alle istituzioni; l'intellettuale anticipatore di tendenze, controcorrente. Le tre vite di Alberto Ronchey sono legate dal rigore intellettuale, la capacità di fondere, lui che era cresciuto alla Voce repubblicana, pensiero e azione alla Mazzini. Da direttore della Stampa in anni difficili, la fine dei 60 e l'inizio dei 70, lanciò in prima pagina dei ragazzini poi diventati direttori; da analista inventò neologismi - «fattore K» per il no al Pci, «lottizzazione» per la Rai - e un modo di scrivere di dati, informazioni, statistiche. Da ministro dei Beni culturali fu il primo a capire l'importanza economica del patrimonio artistico italiano, varò una legge d'avanguardia, importò dal Metropolitan Museum esperti come Daniel Berger. Sempre si battè per l'ambiente. Anticipando il futuro, sorrideva con ironia che ci mancherà del presente sbilenco.