Le cronache delle ultime settimane hanno riproposto duramente il tema della corruzione politica, del decadimento della vita pubblica e dell'infiltrazione della criminalità nelle attività economiche e politiche. Si è visto peraltro che questi fenomeni investono l'intero paese e non sono concentrati solo nel Sud. Come si può spiegare questa patologia italiana? In realtà essa sembra chiamare in causa la fragilità della società civile prima ancora che l'efficacia di controlli e sanzioni. Proprio per questo il recente documento dei vescovi italiani su Chiesa e Mezzogiorno merita un'attenzione maggiore di quella che ha finora ricevuto nel dibattito pubblico (gli interventi apparsi sul Sole 24 Ore sono tra le poche eccezioni). In effetti, viene affrontato il tema del Sud con accenti nuovi e anche con segni di autocritica sul ruolo della Chiesa nella società civile che finiscono per avere una valenza più generale.
I vescovi riconoscono anzitutto che l'influenza rilevante della Chiesa non si è accompagnata a un impegno adeguato sul piano della lotta alla criminalità. Nonostante il sacrificio di sacerdoti che hanno pagato anche con la vita, «tanti sembrano cedere alla tentazione di non parlare più del problema o di limitarsi a parlarne come di un male antico e invincibile». Ma insufficiente appare anche lo sforzo educativo, tant'è che vi è «una carenza di senso civico, che compromette sia la qualità della convivenza sociale sia quella della vita politica e istituzionale», con gravi conseguenze per lo sviluppo economico e socio-culturale. Per questi motivi non bastano le risorse economiche, appare necessario un maggiore impegno della Chiesa stessa sul terreno della formazione di una coscienza civile e di «una cultura politica che nutra l'attività degli amministratori di visioni adeguate e di solidi orizzonti etici per il servizio al bene comune».
Chiediamoci anzitutto quanto importante potrebbe essere la svolta, non solo per il Sud ma per l'intero paese. A questo proposito, vale la pena di ricordare un paradosso tipicamente italiano. Tra i cittadini europei, gli italiani si distinguono nettamente per l'importanza che attribuiscono alla religione nella propria vita, per la maggiore partecipazione ai riti religiosi, per la fiducia che manifestano nella Chiesa (dati della World Value Survey). Allo stesso tempo, però, l'Italia è il fanalino di coda quanto a "rispetto della legge" e a "controllo della corruzione" (dati della Banca Mondiale). È evidente che questo paradosso dovrebbe preoccupare anzitutto la Chiesa (oltre che gli "atei devoti" di casa nostra). In effetti il documento sul Mezzogiorno, ma in realtà sul paese, può essere letto in questa prospettiva. Come spiegare allora il paradosso italiano?
Naturalmente si può parlare di un impegno insufficiente della Chiesa sul piano della coscienza civile, specie nel Sud, come fanno i vescovi. Ma di fronte a un fenomeno così ampio e di lunga durata, questa ipotesi non è del tutto convincente. Sarebbe ingenuo pensare a un'unica causa, ma certo sembra aver influito un antico rapporto con la politica che ha spinto a valutare e appoggiare la classe politica in funzione del sostegno da essa offerto al perseguimento d'interessi ideali (specie nel campo della morale sessuale o della bioetica) e materiali della Chiesa stessa. Questo orientamento non riguarda solo le gerarchie ma tende a estendersi anche al clero di base, spesso portato a appoggiare chi offre aiuti (anche per le attività assistenziali o formative), specie nel Sud. Per dare più forza alla svolta occorrerebbe allora riconoscere che in tal modo non è stata incoraggiata una valutazione universalistica dei politici e degli amministratori basata sulle loro capacità di tutelare interessi collettivi e sulla coerenza morale. E che quindi la Chiesa stessa ha una sua parte di responsabilità non trascurabile nella fragilità della società civile che favorisce criminalità, corruzione, clientelismo, bassa qualità della politica.
Naturalmente, il mondo della Chiesa di base è molto variegato e ci sono esperienze diverse, più impegnate proprio nel senso della lotta alla criminalità, della formazione di una coscienza civile e di una valutazione della classe politica più matura e esigente, al di là degli schieramenti. Nel complesso, però, proprio il perpetuarsi della logica dell'accordo di potere - anche al di là di alcuni momenti più critici nella storia del paese - non ha certo contribuito alla crescita di uno spirito civico e di una cultura più consapevole, con tutte le distorsioni che ne sono derivate, e non solo nel Sud.
È evidente allora che le posizioni nuove annunciate dai vescovi, se perseguite coerentemente, potrebbero avere una portata dirompente. Aiuterebbero a costruire quella società civile più autonoma ed esigente senza la quale nuove regole istituzionali per la lotta alla corruzione o per la selezione elettorale della classe politica, sebbene utili e necessarie, finiscono per essere insufficienti, e viene compromesso lo stesso sviluppo economico. Ammesso che lo si voglia, non sarà certo una strada facile da percorrere, come ci ricordano la storia lunga e quella recente del paese, e anche i contrasti profondi che da sempre su questo terreno attraversano la Chiesa stessa.