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IL VOTO E L'ECONOMIA / Cercasi leadership per un paese di gente seria

di Alberto Orioli

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9 marzo 2010

C'è una repubblica costituzionale fondata sul lavoro e una materiale fondata sulle chiacchiere. Ai cittadini - come ha ricordato il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano - preme la prima. Sopra ogni cosa preoccupa il lavoro, risorsa che la crisi ha reso ancora più scarsa aumentando le file dei disoccupati. È questo che interessa agli italiani: sapere quando ripartirà davvero l'economia e arriverà la ripresa. La conferma viene dai sondaggi che Sole 24 Ore e Ipsos stanno conducendo nelle regioni al centro della contesa elettorale. E stavolta statistica e senso comune vanno a braccetto.
Non è la situazione politica a preoccupare se, ad esempio, in Piemonte solo il 25% dice di considerarla un problema grave (è poco di più, il 28%, il dato su scala nazionale) contro il 73% che ritiene problema urgente l'occupazione, da associare a un altro 22% che teme per l'economia in generale.

Non interessano le contorsioni interne ai partiti, le camarille di potere che hanno portato al ritardo nella presentazione delle liste del Pdl a Roma e in Lombardia (o quelle che hanno dilaniato per mesi il Pd). Quel grottesco ritardo sulle liste – che ancora adesso richiederebbe almeno delle scuse "politiche" agli elettori tutti – al centro di una difficile correzione di rotta che imbarazza le istituzioni, ha creato una ferita al sistema democratico. È stata prontamente suturata con uno dei cerotti di cui in genere abbonda la cassetta di pronto soccorso della repubblica delle chiacchiere. Una scelta che tuttavia non sembra del tutto impermeabile ai dardi dei Tar e si vedrà se sarà in grado di reggere l'eventuale sindacato di costituzionalità da parte della Consulta. E c'è voluta l'autorevolezza di Napolitano, fatto a segno di strali ingiusti, per evitare il peggio.

Si sarebbe potuta scegliere - come ha ricordato Giuliano Amato domenica su queste colonne - la strada del rinvio dei termini e riaprire i giochi per la presentazione delle liste; o spostare la data delle elezioni. In ogni caso sarebbe stata una forzatura, necessaria perché un paese dove le elezioni si svolgono senza il maggior partito non è certo democratico e si iscrive d'ufficio - per la sbadataggine o la mariuoleria di certi presentatori di liste - nel novero dei paesucoli senza storia.

Una qualunque delle strade prospettabili avrebbe in ogni caso significato per l'elettorato il male minore. Tutti hanno capito: l'opposizione che non avrebbe avuto senso vincere senza avversario; la maggioranza che non avrebbe avuto senso mettere il paese a ferro e fuoco per la mancata partecipazione al confronto.

Il "dilemma democratico" – che ora finisce al vaglio della Consulta – era questo: e ancora una volta la politica, l'esercizio nobile della gestione del bene comune, avrà abdicato agli avvocati la sua missione in nome di una ben più prosaica volontà di sopravvivenza.
E mentre la tenzone si fa sempre più di carta, il paese chiede soluzioni vere. Che sono quelle legate all'economia, a una ripresa ancora frammentaria e ritardata, alle infrastrutture carenti - freno allo sviluppo di tutto il territorio -, alle riforme che non arrivano e invece servirebbero a dare slancio alle forze migliori del paese.

Come sono, ad esempio, gli industriosi animatori del Club dei 15, il meglio dei distretti italiani, di cui parliamo in prima e a pagina 16: sono un caso di eccellenza, che ha saputo spesso resistere alla crisi ed è replicabile.

È questo il paese di cui la politica non parla perchè persa nelle fumisterie di schieramento. Un'altra prova? Ancora dal sondaggio piemontese: la Tav, la sofferta tratta ad alta velocità Torino-Lione, è ormai obiettivo più che condiviso anche nella sinistra (del resto il 76% dei cittadini della regione lo considera un beneficio). A questo dunque deve guardare chi chiede consenso. Alla competizione sui grandi temi di modernizzazione del paese.

E nemmeno gridare sempre e solo all'emergenza democratica è una strada proficua. È auspicabile che lo comprenda anche il Pd cui alcuni vorrebbero imporre – da spalti d'inchiosto o da tribune web – la soluzione del tirare la corda al massimo della resistenza.
Una volta che la corda fosse spezzata, si avrebbe solo un paese diviso in due, ferito e smarrito: Berlusconi a gridare al golpe comunista, i regicidi a cantare vittoria senza i voti per renderla verosimile. Gli italiani a guardare il triste spettacolo. Nessuno paga il biglietto per questo genere di repliche.

9 marzo 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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