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BANCHE CENTRALI: Indipendenti prima di tutto

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4 agosto 2009

Copyright Financial Times
(Traduzione di Anna Bissanti)


L'attuale tendenza ad attaccare le banche centrali è comprensibile, ma rischia di spingersi troppo in là. A prescindere dagli errori che possono essere stati commessi prima della crisi finanziaria globale, il principio d'indipendenza delle banche è un elemento basilare e fondamentale della moderna politica economica: pertanto metterne in discussione l'importanza equivarrebbe a fare un grave passo indietro.
La critica al concetto stesso di banca centrale negli Stati Uniti ha una storia molto lunga e stravagante, che risale ai tempi del presidente Andrew Jackson. Il successore fu il repubblicano Ron Pal, che volle tenere la Federal Reserve con un guinzaglio molto corto e sotto un controllo molto più rigoroso. In Europa, la Bce è stata bersaglio di metodiche critiche da parte dei presidenti francesi. Pazienza! Lo sviluppo più allarmante, in ogni caso, è l'attacco alla Bce dello scorso giugno scagliato dalla cancelliera Angela Merkel. La Germania, dopo tutto, considera la Bce alla stregua della sua Bundesbank.
Le odierne improvvise perplessità nei confronti delle banche centrali sono in netto contrasto con il comune sentire del decennio precedente, quando l'adulazione verso di esse raggiunse al contrario vette assurde. Alan Greenspan, per molti anni presidente della Fed, è stato ritenuto da più parti avere tutte le qualità di un oracolo di Delfi: il senatore John McCain, di norma persona molto pragmatica, una volta fece una battuta in proposito, affermando che se Greenspan fosse morto, gli avrebbe fatto indossare gli occhiali da sole e lo avrebbe sorretto affinché potesse continuare il proprio mandato.
L'era della teocrazia economica, quindi – quella nella quale esperti non eletti in modo formale amministrano l'economia globale – può dirsi conclusa. Ma la sete di potere e il desiderio dei politici di avere tutto sotto controllo non garantisce in alcun modo un'amministrazione economica migliore. Per ricostruire l'intero apparato della finanza globale, i pilastri che lo reggevano in piedi devono essere non solo mantenuti, ma rafforzati e non certo abbattuti. Quantunque le banche centrali in definitiva non siano riuscite a scongiurare la crisi, un successo indiscutibile è il sistema delle banche centrali indipendenti. Programmare un maggiore controllo politico è una reazione sbagliata al problema: ciò che dobbiamo fare è usare meglio la loro indipendenza.
Il principio alla base di questa indipendenza era che una banca centrale avrebbe perseguito un obiettivo su ordine del governo usando discrezione in relazione alle modalità con le quali perseguirlo. In questo modo sarebbe stata maggiormente al riparo dalle pressioni politiche e quindi verosimilmente sarebbe rimasta più fedele a un modus operandi ben preciso. L'obiettivo prioritario e assoluto era tenere bassa e stabile l'inflazione.
Le banche centrali hanno ottemperato al loro mandato e lo hanno fatto incredibilmente bene. Anzi, fin troppo bene! La Fed ha mantenuto i tassi d'interesse bassi quando gli scambi commerciali della Cina in costante espansione hanno creato una potente forza deflazionistica tra i suoi partner commerciali. Lasciar calare i prezzi avrebbe potuto essere il compromesso migliore in tale contesto. Mantenerli stabili, invece, ha contribuito ad aumentare il leverage che ha alimentato a sua volta la bolla creditizia.
L'effetto leva dev'essere tenuto sotto controllo per stabilizzare non soltanto i prezzi, ma anche il sistema finanziario nel suo insieme. Ciò può essere ottenuto da una molteplicità d'istituzioni ed enti regolatori, ma lo scaricabarile deve pur fermarsi da qualche parte. Da qualche parte deve pur esistere, insomma, un ente superiore incaricato di concertare una politica ben precisa. Tenuto conto del ruolo che ha la liquidità nella stabilizzazione finanziaria, quel "da qualche parte" dovrebbe essere una banca centrale che abbia un'indipendenza tale da poter prendere scelte anche difficili e osteggiate.
Naturalmente, un ruolo di stabilità sistemica inevitabilmente implica che una banca centrale possa ritrovarsi invischiata nel fango della politica: i rischi sono sicuramente maggiori quando un ente regolatore si sente investito di doti divine e decide quali banche debbano sopravvivere a una crisi, quali perire. (Si consideri per esempio il braccio di ferro sul ruolo del presidente Ben Bernanke della Fed nell'acquisizione di Merrill Lynch da parte di Bank of America). I critici giustamente affermano che le banche centrali sono prive della legittimità democratica necessaria a effettuare tali operazioni, ma i politici sono troppo vulnerabili nei confronti delle pressioni a breve termine per fare ciò che si deve fare (ed ecco spiegato per quale motivo serve ed è utile fissare un tasso indipendente).
Il problema troverebbe soluzione in modo significativamente semplice con i regimi di risoluzione delle controversie per le banche più grandi che dovessero obbligare i creditori non garantiti in fallimento a operare uno swap tra debito e titoli. Una ricapitalizzazione immediata e automatica potrebbe mantenere operativa una banca in fallimento grazie a nuovi azionisti, eliminando le motivazioni di politica pubblica che inducevano a salvarla in extremis. L'adeguamento di capitale delle singole banche a quel punto smette di essere una preoccupazione sistemica e conseguirlo dev'essere considerato una priorità assoluta, in quanto rende un regolatore di sistema libero di concentrarsi sul capitale nel sistema finanziario nel suo insieme.
  CONTINUA ...»

4 agosto 2009
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