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ADDII. Giovanni Jervis
La psichiatria come pratica di liberazione

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4 agosto 2009

di Gilberto Corbellini

Quasi tutti coloro che hanno ricordato la figura intellettuale e scientifica di Giovanni Jervis, morto domenica scorsa a Roma all'età di settantasei anni, hanno scritto che si è trattato di un personaggio complesso, che avrebbe sostenuto in ambito psichiatrico, politico o filosofico punti di vista da cui in seguito ha preso le distanze. Per esempio, aveva collaborato con l'etnologo Ernesto De Martino a valorizzare le tradizioni magico-popolari del Meridione italiano, e con lo psichiatra Franco Basaglia nella battaglia contro i manicomi-lager e per un trattamento umano dei malati di mente. Ma poi avrebbe scritto pagine estremamente critiche nei riguardi del relativismo culturale d'impronta antropologica, e messo in discussione la validità e l'efficacia delle soluzioni proposte da Basaglia per riformare l'assistenza psichiatrica in Italia. In particolare, qualcuno ha voluto leggere un'evoluzione di Jervis in senso revisionista, nel suo ultimo libro, che abbiamo scritto insieme, La razionalità negata (2008).
In realtà, Jervis è stato uno degli intellettuali italiani di sinistra più coerenti e lineari. Cosa che traspare chiaramente se si leggono davvero i suoi scritti e non si parla di lui per "sentito dire": espressione quest'ultima che egli usava spesso per stigmatizzare l'abitudine di parlare di qualcosa senza conoscere a fondo l'argomento o essersi documentati.
Jervis era, innanzitutto, uno psichiatra con una solida formazione clinica, che aveva approfondito come pochi altri in Italia le basi teoriche e la portata terapeutica della psicoanalisi. Era nondimeno un appassionato studioso di psicologia sociale, con un'insaziabile curiosità intellettuale per tutto quello che di rilevante accadeva soprattutto fuori dall'Italia, a livello di riflessione intellettuale e di ricerca accademica nei campi di confine tra psicologia, sociologia, filosofia e politica.
L'ampia conoscenza critica del dibattito internazionale lo rese un prezioso interlocutore e consulente di diverse case editrici. Fu consigliere di Einaudi negli anni 60 e fino a metà anni 70, dove fece pubblicare da Marcuse a Lacan, senza dimenticare L'istituzione negata, di Franco Basaglia. Dopo aver scritto e consigliato anche per Feltrinelli, Garzanti e Laterza, negli ultimi anni aveva stretto una collaborazione privilegiata e per lui di grande soddisfazione con Bollati Boringhieri.
Nato in una famiglia di religione valdese, a undici anni aveva vissuto il trauma dell'arresto, tortura e assassinio del padre Willy, ingegnere della Olivetti e partigiano di Giustizia e Libertà, da parte dei nazifascisti. Dopo la laurea in medicina a Firenze e la specializzazione in neurologia e psichiatria a Roma, fino alla metà degli anni 70, Jervis ha vissuto da protagonista – collaborando fino al 1969 con Basaglia, e poi guidando un'esperienza di psichiatria sul territorio a Reggio Emilia – la fase di riforma scientifica e politica dei metodi di trattamento e prevenzione dei disturbi mentali.
Jervis sperava che la politicizzazione del problema della salute mentale valorizzasse il metodo scientifico come strumento per rendere efficaci e affidabili i progetti di riforma dell'assistenza psichiatrica. A lungo si è battuto perché la riforma dell'assistenza psichiatrica fosse condotta con realismo e sensatezza, ma ha dovuto arrendersi al prevalere dell'ideologia e del settarismo. Il suo contributo per evitare che il dibattito sui temi della psichiatria fosse condotto in modi spontaneisti, e con accenti antiscientifici e antirazionalistici, fu un testo formidabile e un vaccino anti-ideologico per molti giovani della mia generazione: il Manuale critico di psichiatria (1975), inteso peraltro a formare culturalmente chi doveva affrontare le sfide del disagio mentale.
Dagli anni 80, Jervis si dedica definitivamente alla ricerca teorica e all'insegnamento. Divenuto professore di psicologia dinamica alla Sapienza di Roma, inizia a pubblicare una serie di testi che riflettono un percorso intellettuale teso a valorizzare criticamente, da un lato, la tradizione storico-culturale della psicoanalisi, di cui ha sempre riconosciuto i limiti sul piano dei fondamenti teorici e metodologici, e dall'altro aprendosi ai nuovi sviluppi tematici e concettuali della psicologia cognitiva e della psicologia evoluzionistica.
Sul primo versante pubblica diversi testi che inquadrano l'evoluzione del pensiero psicoanalitico e segnano anche il definitivo seppellimento della psicoanalisi come approccio teorico attendibile al funzionamento della mente: La psicoanalisi come esercizio critico (1989), Fondamenti di psicologia dinamica (1993) e l'introduzione a Il secolo della psicoanalisi (1999). Sul secondo versante, sempre con l'intento di esplorare le aree di confine tra psicologia, sociologia, antropologia e politica, nascono libri come Prime lezioni di psicologia (1999), Individualismo e cooperazione (2002), Contro il relativismo (2005) e Pensare dritto e pensare storto (2007).

4 agosto 2009
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