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Al Sud non tutto è spreco

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4 agosto 2009

di Gianfranco Viesti

Quantità e qualità della spesa pubblica nel Mezzogiorno. Un tema tornato all'attenzione in questi giorni. Ma anche un tema sul quale abbondano luoghi comuni e pregiudizi. Allora, alcuni dati e informazioni (rimandando al libro Mezzogiorno a tradimento per ulteriori approfondimenti e fonti) per ritrovare, forse, un po' la bussola nella discussione.
eLa spesa pubblica corrente pro capite nel Mezzogiorno (anche al netto degli interessi sul debito) è inferiore alla media nazionale. Il quadro è complesso, con differenze fra regioni, a statuto ordinario e speciale, grandi e piccole: ma mostra costantemente una minore spesa pro capite al Sud rispetto al resto del paese (si veda il grafico). I dati del fondamentale progetto dei "conti pubblici territoriali", usando le effettive erogazioni, consolidando fra diversi livelli di governo, e includendo il "settore pubblico allargato" lo mostrano senza ombra di dubbio.
Il motivo principale sta nella spesa pensionistica, assai maggiore al Centro-Nord: il "welfare all'italiana" con tante pensioni e scarsissimi interventi per povertà, famiglie e donne penalizza il Sud; ma i dati riservano non poche sorprese: anche la spesa sanitaria, o quella per l'amministrazione generale è più bassa nel Mezzogiorno.
rCome mostrato da ultime recenti elaborazioni della Banca d'Italia, la spesa pubblica pro capite al Sud è inferiore al relativo gettito fiscale: è finanziata (per circa il 13% del Pil meridionale) dai cittadini del Centro-Nord. Sono flussi ingenti, alla base, per molti versi, della protesta del Nord. Ma sono flussi molto inferiori rispetto al passato (rappresentavano circa il 20% del Pil vent'anni fa); e molto inferiori rispetto a quanto avviene, ad esempio, in Germania: lì, a metà di questo decennio superavano largamente il 30% del Pil dei Länder orientali. Sono il frutto automatico del diverso livello di reddito fra Nord e Sud, in presenza di servizi pubblici nazionali.
tL'opposizione a questa redistribuzione geografica è spesso motivata dalla convinzione che questi flussi alimentino «assistenzialismo»; generino «spesa improduttiva e clientelare». Questa convinzione così forte e radicata non è confortata dall'evidenza dei fatti. Ancora recenti lavori della Banca d'Italia consentono di dire che certamente vi sono ambiti (ad esempio la spesa farmaceutica) nei quali vi è un cattivo uso delle risorse, mentre in altri (ad esempio proprio la spesa sociale) il problema è assai più di carenza che di cattivo uso delle risorse. Certamente, nell'insieme, regioni ed enti locali del Sud sono meno efficienti, in media, di quelli del resto del paese; ma molti cruciali servizi pubblici (scuola, giustizia, sicurezza) sono erogati in larga misura da istituzioni nazionali. È il grande tema del federalismo fiscale: meccanismi per una maggiore efficienza della spesa. Ma anche per far sì che, a differenza di quel che accade oggi, cittadini di diverse regioni abbiano a disposizione servizi di comparabile quantità e qualità.
uVi è poi la spesa in conto capitale, di cui tanto si parla ultimamente: Fas, fondi europei e così via. Anche qui un dato incontrovertibile (si veda ad esempio l'annuale rapporto governativo del Dps-Mise): la spesa in conto capitale pro capite è nel Mezzogiorno inferiore alla media nazionale, nonostante i fondi aggiuntivi. Ovviamente così il gap di dotazione infrastrutturale tende a crescere e non a ridursi. Il perché è evidente: i fondi aggiuntivi sono in realtà sostitutivi di mancata spesa ordinaria (principalmente quella di ministeri e aziende come le Ferrovie, a valere su fondi nazionali). Con i grandi tagli della spesa aggiuntiva Fas operati dal Governo (circa 24 miliardi) questo fenomeno si aggraverà significativamente. Né vi è alcun nuovo stanziamento: i Fas per la Sicilia appena sbloccati erano già previsti dalla Finanziaria per il 2007.
iLe risorse aggiuntive sono spese bene? È bene ricordare che circa metà della spesa in conto capitale al Sud è responsabilità non delle regioni ma dei ministeri e delle grandi aziende pubbliche nazionali. Sono spesso citati tre ordini di problemi: lentezza della spesa, frammentazione degli interventi, interventi di bassa qualità. Non c'è dubbio che vi sia un problema di tempi. Specie la spesa per infrastrutture ha cicli lunghissimi in tutto il paese e ancor più al Sud; e questo porta a rendicontare progetti "vecchi" per non perdere le risorse di competenza: specialità questa del ministero delle infrastrutture che ha usato il suo grande programma operativo 2000-06 per oltre il 70% per finanziare con risorse europee opere già realizzate. È questo un punto cruciale su cui si può e si deve intervenire.
Spesa frammentata? Il numero dei progetti finanziati al Sud con i fondi europei 2000-06 è altissimo (ma inferiore di quelli finanziati al Centro-Nord, con risorse assai minori), anche perché comprende moltissimi interventi d'incentivo alle imprese di dubbia valenza strategica: sorprende che critiche alla frammentazione vengano da chi propone crediti d'imposta generalizzati, a pioggia. Anche qui si può migliorare: ma più integrando i progetti in una logica d´insieme che puntando sulle grandi opere, costose, e molte - a cominciare dal Ponte sullo Stretto di Messina - con effetti tutti da dimostrare sullo sviluppo economico. Si può infine migliorare sulla qualità degli interventi; ma con riflessioni non banali: una rete di piste ciclabili è uno dei migliori investimenti per incentivare il turismo destagionalizzato. Dunque problemi, e certamente possibilità di miglioramento: ma partendo dai fatti, e non da condanne apodittiche.
  CONTINUA ...»

4 agosto 2009
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