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Silvio e Gianfranco divisi su ruolo del Parlamento e legge elettorale

di Barbara Fiammeri

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29 marzo 2009

L'attesa per l'intervento di chiusura di Silvio Berlusconi, dopo le "sfide" lanciategli ieri da Gianfranco Fini, è stata in parte delusa. E non solo perchè Berlusconi nulla ha detto a proposito del testamento biologico e del referendum, dopo le sollecitazioni giunte dal presidente della Camera. Ma soprattutto perchè quel che il premier oggi ha affermato era in gran parte già noto.

La strategia di Berlusconi non cambia. Lo conferma anche la scelta di richiamare e rileggere un capitolo del suo discorso di 15 anni fa. Berlusconi ha ribadito che sulle grandi riforme, a partire da quella costituzionale, la maggioranza è pronta ad andare da sola. Il dialogo con l'opposizione è difficilmente percorribile per il presidente del Consiglio, che nel descrivere i capisaldi che dovranno sorreggere la nuova architettura costituzionale si è soffermato molto sul rafforzamento dei poteri del premier («che oggi sono finti») e mai su quelli del Parlamento.

Il presidenzialismo più volte descritto dal presidente della Camera poggia invece su un modello in cui all'ampliamento dei poteri dell'esecutivo e in particolare del capo del Governo, corrisponde un rafforzamento di quelli di controllo e indirizzo del Parlamento. Due visioni che al di là delle «interpretazioni maliziose» sulle polemiche intercorse tra i due, confermano una distanza tra il Cavaliere e l'ex leader di An.

Fini disegna un Pdl che deve guardare oltre il suo recinto, che deve proporre una sua visione strategica per mettere oggi le fondamenta dell'Italia del futuro, sfidando la sinistra al confronto. Berlusconi invece è molto più legato al presente. Il premier non ritiene che ci siano le condizioni di dialogare con l'opposizione e dunque - sostiene - intanto facciamo la riforma dei regolamenti parlamentari, che comunque ci consentono di accelerare i tempi per i provvedimenti ritenuti urgenti dal Governo.

È una strategia che persegue da tempo, già emersa in occasione dei contrasti con il capo dello Stato (e con lo stesso Fini), che aveva richiamato il Governo sull'uso eccessivo dei decreti legge e del voto d fiducia, e che è poi deflagrata apertamente sul Dl Englaro. Berlusconi non vuole mettersi attorno a un tavolo, per decidere assieme quali siano le regole del gioco. Il premier si rivolge direttamente al al popolo. E in questa strategia si inserisce anche la scelta di confermare l'attuale legge elettorale. Fini aveva chiesto esplicitamente una parola chiara sul referendum, spiegando che un eventuale successo avrebbe accelerato il processo verso il bipartitismo. Berlusconi oggi quella parola non l'ha pronunciata.

Certo, ha pesato sicuramente il timore che Bossi potesse insorgere (per il Carroccio se passasse il referendum sarebbe la fine). Ma c'è anche qualcosa di più. E proprio Berlusconi lo ha spiegato nel suo primo discorso al congresso, quello di venerdì: quella legge infatti comunque consente di indicare il premier e la coalizione che lo sostiene, introducendo così surrettiziamente un'elezione diretta del capo del Governo che invece la nostra attuale Costituzione affida all'autonomia del presidente della Repubblica. Una prassi che, «grazie alla volontà del popolo», è ora iventata regola.

Due strategie diverse frutto anche, ovviamente, di ruoli diversi. Fini è il presidente della Camera e dunque riveste di per sé una posizione super partes. Ma l'ex leader di An, liberatosi dal confine del suo vecchio partito, sembra anche sentirsi più libero di affermare posizioni che oggi sono minoritarie ma attorno alle quali conta di costruire un consenso (Fini ha ricevuto molti più applausi ieri di quanti ne avesse presi una settimana prima al congresso di An). Berlusconi invece quel consenso ce l'ha già e non deve conquistare nulla, almeno fino a quando i numeri saranno dalla sua parte. È per qesto che non manca occasione di far conoscere i risultati da lui stesso commissionati (lo ha fatto anche ieri annunciando che il Pdl ha superat il 44% nelle intenzioni di voto) e che da sempre lo guidano nella sua azione politica.

Il Cavaliere finora ha confezionato un successo dietro l'altro e come dice - credendoci davvero - punta alla maggioranza assoluta.Certo c'è l'incognita della crisi. E non è poco. Soprattutto per un premier, a capo di un partito che viaggia attorno al 40% dei consensi e che gode di una solidissima maggioranza parlamentare.

29 marzo 2009
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