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Riforme per riunire

di Stefano Folli

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29 marzo 2009

Oggi Silvio Berlusconi ha un problema di non poco conto: concludere il congresso fondativo del Pdl in modo diverso da come l'ha cominciato. Il discorso di chiusura sarà per lui più difficile dell'intervento d'apertura. I toni celebrativi non saranno più ammessi: sono cartucce che si sparano una volta sola. Ora si tratta di indicare il futuro al di là della propaganda; e di spiegare, tra l'altro, se lo slogan della «rivoluzione liberale» commissione per l'Italia di domani è una cosa seria oppure un mero espediente congressuale. L'uomo «del fare» deve dire come e cosa intende fare: con quali strumenti, attraverso quali percorsi politico-istituzionali.
Non solo. Inaugurando il congresso, e rivendicando il suo successo di anni, Berlusconi non si è preoccupato di unire gli italiani. Al contrario, ha accentuato le linee di frattura e di divisione che gli servono per marcare la vittoria del bene sul male, secondo la sua visione quasi mistica dello scontro epocale con le forze del «comunismo», esplicite o mascherate.

E' la costante di sempre, da quando il fondatore di Forza Italia scese in campo contro la «macchina da guerra» guidata da Occhetto. Ora però è accaduto che il presidente della Camera ha avanzato una proposta concreta per l'immediato futuro. Una proposta con una caratteristica di fondo: è il tentativo di riunire gli italiani in una nuova «stagione costituente». In sostanza ha descritto un arco temporale della legislatura dedicato alle grandi riforme costituzionali, da attuare con il pieno concorso dell'opposizione.
Berlusconi ha parlato al suo popolo. Fini si è rivolto anche agli italiani che non votano per il Pdl, ma che sono interessati a uno sforzo comune per rinnovare e ammodernare lo Stato. Attenzione: non c'è alcun dualismo Berlusconi-Fini. O meglio, se c'è non è emerso nel congresso. Nessun conflitto latente per la futura leadership. Siamo molto lontani da questa vecchia rappresentazione e si giustifica in pieno l'abbraccio finale sul palco tra il capo carismatico e il vecchio alleato. E' vero però che il presidente della Camera ha tratteggiato, senza polemiche dirette, una visione del Paese e soprattutto delle istituzioni molto diversa da quella berlusconiana.

Il premier ha irriso il centrosinistra per i suoi ritardi e le sue colpe storiche: niente di nuovo, naturalmente. Viceversa, Fini ha proposto una fase costituente a quella stessa sinistra cui riconosce -è sottinteso- sufficiente maturità e cultura istituzionale.Del resto, la«bozza Violante» è stata votata anche dal centrodestra e mantiene la sua attualità. Ne deriva che il centrosinistra ha reagito subito con attenzione (si veda D'Alema) al riformismo di Fini.
Ma ciò naturalmente alza l'asticella che oggi Berlusconi dovrà superare di slancio. Il presidente del Consiglio avrebbe interesse a usare in chiusura parole più concilianti.
Non gli conviene continuare a dividere il Paese, lasciando a Fini il privilegio di apparire come il riunificatore, l'uomo che prepara la «stagione costituente».Se c'è una logica negli eventi di Roma, Berlusconi dovrebbe riappropriarsi di questo ruolo di tessitura. Poi saranno i fatti, di volta in volta, a dimostrare se esiste o no lo spazio per un grande progetto riformatore che coinvolga maggioranza e opposizione.

Tanto più che l'intervento del presidente della Camera ha rivelato ambizioni piuttosto alte. Non solo ha proposto una visione di medio periodo, ha anche cercato di infondere nel centro destra un'anima politica che non coincida solo con l'adesione fideistica al leader.
Ecco allora il tema della solidarietà, il rapporto tra Nord e Sud in una chiave lontana dalla «vulgata » leghista, il rifiuto della xenofobia verso gli immigrati. Se il Popolo della Libertà deve essere il partito della nazione, Fini ha provato a interpretarne lo spirito più del «nordista» Berlusconi, di cui peraltro non contesta la leadership. Ma non basta. Sul tema del testamento biologico, la visione laica del presidente della Camera contraddice tutto quello che è stato fatto in Parlamento (o meglio, a Palazzo Madama) con il pieno avallo del presidente del Consiglio e degli organi di maggioranza. Qui la polemica affiora ed è aspra. Parlare addirittura di «Stato etico» significa abbandonare la prudenza e porre sul tavolo una questione di fondo. Non si tratta solo di rivendicare la libertà di coscienza o chiedere qualche correttivo alla legge sul biotestamento. Si vuole una maggiore autonomia della politica dalla Chiesa e dalla morale politica.
In conclusione, la politica è tornata. Non si è riusciti a tenerla fuori dal recinto del congresso. Si potrebbe dire: meno male. Ma oggi Berlusconi dovrà anche lui proiettarsi in avanti, per non lasciare ad altri questo spazio cruciale.

29 marzo 2009
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