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Così il candidato Pd nasconde il Pd

di Marco Alfieri

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22 maggio 2009

«Una campagna no logo», ironizza un consigliere provinciale in questi giorni tutto preso a battere i comuni dell'hinterland milanese in cerca della riconferma.
(Im)potenza del brand Pd, un marchio in caduta libera nel Lombardoveneto, dove ci sono interi territori in cui meno ti fai vedere in giro abbinato al logo democratico meglio è, specie dove il centrosinistra coltiva ancora qualche speranza di vincere alle amministrative del 6-7 giugno.

Grandi e piccoli comuni non fa differenza, davvero. Nuove o vecchie province fa lo stesso. Meglio nascondere che esibire il blasone sdrucito del nuovo vecchio Pd. Meglio mimetizzarsi dietro un cordone sanitario di liste civiche. L'occultamento sopra il Po è pratica diffusa. E a pensarla così non è qualche leghista incallito bensì molti amministratori democratici uscenti o candidati al rinnovo elettorale.

Il primo campione della formula "no logo" è certamente Filippo Penati a Milano, impegnato in un testa a testa per riconquistare la provincia con il berlusconiano Guido Podestà (Pdl). Obbiettivo impellente: portarlo al ballottaggio e riaprire il pronostico, dopo che nelle scorse tornate molti bastioni rossi dell'hinterland sono caduti come birilli, infrangendo il vecchio schema duale di un capoluogo a destra e di una cintura a sinistra. E per farlo, Penati, il candidato che piace ai commercianti e più a destra della Lega sui Rom, si sta inventando di tutto. Ad esempio il manifesto che mutua il concept iconografico dell'indiano leghista declinato sul tema scabroso di Malpensa, abbandonata dal governo amico. Primo di una serie con cui sta tappezzando Milano. Metafora di una campagna autocentrata in cui il Pd praticamente non compare, fin dal claim della sua lista civica che raccoglie manager, professionisti, piccoli imprenditori e artigiani: «Siamo un progetto, non un partito». In effetti.

Tutti segni di un tentativo di territorializzare il più possibile il voto per sfuggire l'onda forza-leghista egemone. Non a caso ieri sera ha fatto scendere a Milano Lorenzo Dellai, il campione trentino del Pd alla bavarese. I due hanno fatto passerella insieme.
D'altronde non c'è alternativa a questo modello se si vuol resistere in territori dove alle amministrative Carroccio e Pdl correranno insieme quasi dappertutto proprio per svuotare gli ultimi bastioni Pd, le ultime casematte in terra ostile: Alessandria, Biella, Novara, Torino e Vco in Piemonte. Milano, Cremona, Lodi, Lecco e i comuni di Cremona e Bergamo in Lombardia. Belluno, Rovigo, Venezia e il comune di Padova in Veneto.

Quaranta chilometri più a est, a Bergamo città, il sindaco uscente Roberto Bruni, socialista vicino al Pd ma non iscritto al partito di Franceschini, corre spalleggiato da una lista civica zeppa di imprenditori e professionisti orobici, pur di camuffare il debole profilo democrat e valorizzare la sua esperienza di governo locale, anche nei manifesti, e sfidare Franco Tentorio, pidiellino ex An, che nei sondaggi lo tallona.

Se si va in Veneto la musica non cambia. A Padova, altra piazzaforte Pd a rischio, l'uscente Flavio Zanonato fa addirittura tripletta: corre con la sua lista civica, con una formazione di sole donne, e poi con la mitica lista dei Comitati per la sicurezza, che mette insieme una decina di gruppi nati contro l'emergenza extracomunitari e il degrado di via Anelli, quella del muro e dello spaccio. Comitati trasversali, che girano di notte con le pettorine. Anche qui, in stile Penati: sui manifesti elettorali, del Pd nemmeno l'ombra. Meglio i volti di cittadini anonimi che si fanno testimonial di un sindaco inclusivo come pochi.

In laguna a Venezia, alla provincia, l'uscente Pd Davide Zoggia sfida la carismatica leghista Francesca Zaccariotto, attuale sindaco di San Donà di Piave dove nel 2008 è stata rieletta con quasi il 70% dei voti, battendo per necessità sullo stesso clichè. Ha la sua brava lista civica e sui manifesti ci mette ossessivamente il suo volto. Va da sé lo slogan: «Per il tuo futuro, io ci metto la faccia». «Segno di una strategia meno centrata sul partito e vissuta senza i loghi tradizionali», spiega Marco Marturano, spin doctor sia di Zanonato che di Zoggia. «Naturalmente la macchina del Pd sta facendo una sua campagna, ma essenzialmente parallela». Cercando, franceschinianamente, di recuperare il più possibile l'elettorato 2008. Rimotivando in casa sua. Ma chi corre per vincere tende per lo più a smarcarsi, a separare più che mescolare.

Nei comuni piccoli è persino più marcata l'avanzata dei democratici senza brand. In provincia di Varese, cancello nord di quella pedemontana dei piccoli dove da quando esistono Bossi e Berlusconi il centrosinistra è minoranza residuale, andranno al rinnovo 87 comuni su 137. Bene, in quasi tutti il Pd, specie dov'è uscente e può rivincere, non si palesa proprio. Meglio occultarsi dentro liste civiche. Niente confusioni pericolose. Valga il caso di Sesto Calende, paesone di 11 mila anime sul Ticino. L'uscente Eligio Chierichetti non si ricandida nemmeno. Qualcuno lo accusa di essere stato troppo lassista sull'affaire moschea. Il rischio autogol è forte. Così a correre è un altro democrat, Sergio Tredici, ma camuffato dentro il listone "Insieme per Sesto", che non si sa mai... Sotto i 15mila abitanti, dove c'è il turno secco, è questa la (quasi) regola in Pedemontana. Se vuoi spuntarla, devi fare il "no logo".

22 maggio 2009
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