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Comuni e Province, il Pdl vede il sorpasso

di Roberto D'Alimonte

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5 giugno 2009

Questa è una tornata elettorale in cui la destra ha un vantaggio netto rispetto alla sinistra. Non solo lo schieramento di Berlusconi ha il vento in poppa anche se forse in queste ultime settimane si è un po' afflosciato. È anche il punto di partenza che rende le cose difficili per la sinistra.
Nel 2004 infatti le andò tutto bene. Alle europee la lista Uniti nell'Ulivo ottenne il 31,1% mentre tutta la sinistra arrivò al 46,2%. Alle comunali riuscì a conquistare 24 comuni capoluogo su 30, tra cui città importanti come Bergamo, Pavia, Padova, Bari. Alle provinciali vinse in 51 delle 60 province che allora andarono al voto (questa volta sono 62), tra cui Torino, Milano, Belluno, Cremona, Lecco, Bari. Un risultato impossibile da replicare oggi nelle condizioni in cui si trova il partito di Franceschini.

Sulla base delle simulazioni fatte utilizzando i dati delle politiche 2008 e delle alleanze 2009 (vedi la mappa) è possibile che possa finire 15 a 15 nei comuni capoluogo e 25 a 37 nelle province. Come dire che, nel totale delle amministrazioni principali, si passerebbe da un 75 a 15 per il centro-sinistra a un 52 a 40 per il centro-destra. Ovviamente, va ribadito, esclusivamente sulla base dei dati elettorali del 2008.
È praticamente certo che la sinistra manterrà quasi tutte le sue posizioni nei comuni e nelle province di Emilia, Toscana, Umbria e Marche. Ma non sarà così altrove. Nei comuni del Nord non finirà 6 a 2 come nel 2004 e nelle province non finirà 13 a 7. Al Sud il risultato fu di 6 a 3 nei comuni e 17 a 2 nelle province. Anche qui le tabelle sotto evidenziano un cambiamento significativo. Eppure anche se i numeri non saranno certamente quelli del 2004 la sinistra limiterà i danni e la delusione se riuscirà a mantenere alcune posizioni chiave, soprattutto al Nord. Oltre alla percentuale di voti che Pd e Pdl otterranno alle europee saranno i risultati di Bergamo, Padova, Milano, Bari a condizionare il giudizio complessivo su queste elezioni. Ma questo non è l'unico elemento di interesse di questa tornata elettorale.

In primo luogo si evidenzia la tenace persistenza della frammentazione partitica. Grazie alla soglia del 4% alle europee e all'esito delle ultime politiche questa antica patologia del nostro sistema politico – almeno per ora – è stata bloccata a livello nazionale. Non così invece a livello locale. Nei 30 comuni capoluogo si sono presentate in media 17 liste. A Bari sono addirittura 30. Nelle province il numero medio è 18,3. A Torino ce ne sono 34, a Cosenza arrivano a 38. C'è qualcosa che non va nella legge elettorale. È vero che sindaci e presidenti di provincia sono eletti direttamente. È vero che la loro stabilità è assicurata dalla regola per cui un eventuale voto di sfiducia da parte dei consigli porta automaticamente ad elezioni anticipate. È vero che non tutte queste liste otterranno seggi. Ma è anche vero che saranno comunque tante, troppe, a essere rappresentate nei consigli in assenza di soglie di sbarramento efficaci. E allora con questi livelli di frammentazione la stabilità degli esecutivi rischia di essere pagata a caro prezzo. Come si fa a governare efficacemente con coalizioni rissose formate da un numero così elevato di partiti?

A livello nazionale le ultime elezioni hanno portato alla formazione di due mini-coalizioni. Il governo Berlusconi è formato da due partiti (tre se si conta il Mpa). A livello locale invece continua la pratica delle maxi-coalizioni sia a destra che a sinistra. In media le coalizioni comunali di sinistra sono formate da 6,1 liste, quelle di destra da 5,3. Ma le differenze locali sono notevoli. La media nasconde situazioni assurde. A Bari sono addirittura 15 le liste che appoggiano il candidato-sindaco della destra. A livello provinciale è la stessa cosa. Le coalizioni di sinistra hanno in media 5,8 liste e quelle di destra 5,9. Ma a Salerno le liste della destra sono 17 e a Rieti 16. A Cosenza ciascuno dei due candidati principali è sostenuto da 15 liste.
Il quadro complessivo delle liste permette considerazioni interessanti anche sulle alleanze. Rifondazione comunista - quella di Ferrero, non quella di Vendola - è alleata al Pd in 13 comuni su 30. L'Udc è alleata al Pdl in 10 comuni e non è mai alleata al Pd. Negli altri comuni corre da sola in attesa di decidere cosa fare eventualmente al secondo turno. Questi sono i due casi più interessanti per le loro implicazioni nazionali. Poi ci sono gli altri casi.

La Destra di Storace che è insieme al Pdl in 4 comuni. Di Pietro che corre da solo in 5 casi. La Lega che a Pesaro e Reggio Emilia ha una lista propria. Poi ci sono liste come il Nuovo Psi, che avrebbero dovuto confluire dentro il Pdl ma sono ancora vive e vegete in certe realtà locali.
Ma la cosa che colpisce di più è la proliferazione di liste civiche di ogni colore. Sono sigle che servono a diversi scopi: costituirsi una rendita di posizione, fare incursioni nell'elettorato altrui, dimostrate la forza dei candidati rispetto a quella del partito. Ma il loro effetto sistemico è quello di indebolire i grandi partiti di cui invece c'è bisogno sia a livello nazionale che a livello locale per avere una vera democrazia governante.

  CONTINUA ...»

5 giugno 2009
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