ITALIA

 
 
 
Risultati in tempo reale
Gli aggiornamenti minuto per minuto con i dati del ministero dell'Interno
Affluenza a chiusura delle operazioni: 65,04%
Sezioni scrutinate : 64328 su 64328
IL POPOLO DELLA LIBERTA' % Seggi
35,26 29
PARTITO DEMOCRATICO    
26,13 21
LEGA NORD    
10,2 9
DI PIETRO ITALIA DEI VALORI    
8 7
UNIONE DI CENTRO    
6,51 5
 
Tutti i risultati delle Europee >>
 
HOME DEL DOSSIER
ITALIA
I conti di Bruxelles
EUROPA
FOTO - VIDEO

Servono più risorse per le sfide globali

di Adriana Cerretelli

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
25 Maggio 2009

«I want my money back»: quasi trent'anni fa, ci aveva provato il premier inglese Margaret Thatcher a imporre all'Europa una visione grettamente contabile: una colonna del dare e una dell'avere nel tentativo di dare il meno possibile e incassare il massimo.
Ma poi, dopo una battaglia epica che aveva bloccato per anni la Comunità e alla fine le aveva restituito in parte «i suoi soldi indietro» con l'istituzione del rimborso britannico annuale (tuttora in vigore), la Lady di ferro si era in qualche modo ravveduta. Meglio, aveva fatto buon viso a cattiva sorte.
Nell'impossibilità di ridurre l'Europa a un'entità puramente contabile e mercantilista, dopo aver invano tentato di fermare mercato e moneta unica, Margaret Thatcher scelse di ridurne i danni: respingendo l'euro, ma forgiando metodicamente il mercato europeo a immagine e somiglianza dei propri interessi. Per riuscirci mandò a Bruxelles Lord Cockfield, giurista fedelissimo ed euroscettico convinto, che però finì per passare al "nemico", conquistato dal disegno europeo e dall'architettura del mercato unico che costruì puntigliosamente. Come oggi la conosciamo.
Nella loro aridità i bilanci raccontano sempre e solo una parte di tutte le storie. Quello europeo poi – con l'1% del Pil dell'Unione, nonostante oltre mezzo secolo di vita comune – potrebbe sembrare anche ridicolo nella sua macroscopica irrilevanza rispetto all'entità della sfida: tornare a far contare l'Europa nel mondo globale, farla finalmente parlare con una sola voce, l'unica che potrebbe farla pesare davvero, riscattarla dal declino relativo che la tormenta rispetto a una concorrenza mondiale sempre più agguerrita. In politica come in economia.
Certo, l'1% del Pil significa 136 miliardi di euro all'anno, che però sono da spartire tra 27 paesi eterogenei, molto ricchi o molto poveri. Significa politiche comuni: oggi l'agricoltura non fagocita più i due terzi del bilancio Ue come ai tempi della Thatcher, superata dai bisogni di competitività e coesione che incassano il 45%. Anche aggiornato nella sua scala di priorita di spesa, il bilancio dell'Unione resta comunque clamorosamente carente di risorse e inadeguato ai tempi globali che corrono.
Le elezioni europee del 7 giugno, invece del rito del voto, rischiano di celebrare quello della disaffezione generalizzata al progetto Europa. I sondaggi annunciano un tasso di astensionismo medio del 66 per cento. Che in Italia potrebbe superare addirittura il 70. Non è certo l'ipotetica carenza di fondi comunitari (che comunque da sempre l'Italia non utilizza fino in fondo, di fatto sprecandoli) la ragione dell'emorragia di consensi e d'interesse per l'Unione tra i suoi cittadini. Nè il fatto che queste elezioni per l'europarlamento, come quasi tutte quelle che le hanno precedute, saranno molto nazionali e molto poco europee.
Però il bilancio comune, che quasi certamente continuerà a restare molto risicato, è lo specchio impietoso di un'Europa che a chiacchere si vuole gigante globale, ma nei fatti si dota di risorse da nano politico qual è. Perché l'Unione non si decide al grande salto?
Nei decenni è cresciuta in termini quantitativi e qualitativi: non solo si è allargata geograficamente a dismisura, ma ha integrato sempre più (sia pure in modo ancora incompleto) il suo mercato interno, si è regalata euro, politica monetaria unica e Banca centrale europea, ha abbattuto quasi tutte le frontiere per la libera circolazione delle persone. E molto altro.
Paradossalmente, tuttavia, i tanti progressi ne hanno bloccato la spinta federalista delle origini. Salvo poche eccezioni, oggi i governi dei 27 vogliono un'Unione di stati sovrani e il minimo in più, se proprio inevitabile. Quindi un bilancio-topolino. Quindi piccole riforme istituzionali: con o senza il Trattato di Lisbona, in attesa della ratifica irlandese e delle firme ceca, polacca e tedesca.
Resta un interrogativo: dopo la grande crisi economico-finanziaria che attraversa il mondo, capitalistico e non, che sta rapidamente rimescolando i poteri di forza globali, potrà l'Europa continuare a vivacchiare con sè stessa in sostanziale mediocrità? La logica dice di no. Però i Governi per ora sono in tutt'altre faccende affaccendati, il consenso popolare latita. A tutti interessa l'oggi. Domani chissà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

25 Maggio 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-