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Cento euro per l'Europa

di Paolo Migliavacca

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25 Maggio 2009

A prima vista la somma appare assai elevata: ben 136,2 miliardi di euro di stanziamenti per il 2009, con una previsione di spesa effettiva a consuntivo di 116,1 miliardi e un sostanziale pareggio con le entrate. In realtà, se si parte dalla dimensione delle economie europee che lo alimentano, il bilancio dell'Unione europea può anche apparire modesto. Il budget, infatti, equivale ad appena l'1,04% del reddito lordo stimato dei 27 paesi dell'Unione, quota che si riduce allo 0,89% se si considerano solo le uscite reali. Diverso il discorso se si considera il costo per le tasche del cittadino europeo: si tratta in media di 233 euro a testa, anche se la Ue fa notare come si tratti di "soli" 64 centesimi al giorno.
Sulla spesa Ue e sulla composizione delle voci che concorrono a formarla, tuttavia, da decenni si scatenano annualmente trattative complesse, che a volte sfociano in scontri aperti, tanto sul fronte dei contributi diretti a Bruxelles quanto su quello dei versamenti che la Ue, a vario titolo, effettua ai paesi membri. Ogni Stato cerca ovviamente di ridurre le proprie uscite destinate alla Ue (anche se il sistema di contribuzione è piuttosto rigido), massimizzando nel contempo le entrate di provenienza europea. Giungendo a minacciare la paralisi del sistema quando sembra, soprattutto per ragioni di consenso politico interno, che lo sbilancio sia eccessivo, come fece più volte la Gran Bretagna con Margaret Thatcher prima e Tony Blair poi. Ma anche, benchè più sommessamente, la Germania di Schmidt e Kohl.
Vediamo, per sommi capi, come questo complesso meccanismo funziona. Le entrate provengono quasi totalmente da tre grandi fonti d'introito: le cosiddette "risorse proprie tradizionali" (i dazi doganali comuni applicati a merci importate da aree extra-Ue, che pesano per il 15% circa del totale), una quota fissa dell'Iva derivante dal gettito che l'imposta genera negli scambi infra-comunitari (che vale il 15-17% del totale) e lo 0,73% della ricchezza prodotta annualmente da ciascun paese, quota che rappresenta circa due terzi delle entrate totali, cui si aggiungono alcune entrate minori (meno di 3 miliardi in totale) costituite dai diritti sui prodotti agricoli importati e sulla produzione di zucchero e da altri proventi, come le tasse pagate dai dipendenti Ue sui loro stipendi e le contribuzioni di Paesi terzi che partecipano a programmi (in genere scientifici) dell'Unione.
Occorre notare come, nell'arco di una decina di anni, il peso percentuale di queste voci sia mutato a fondo: a una sostanziale stabilità delle risorse proprie fa riscontro il crollo dell'Iva (superava la metà nel 1996) a favore della quota sul Pil nazionale, balzata dal 30 a quasi il 70 per cento.
Se si considera la provenienza geografica dei versamenti, è ovvio che i paesi più grandi e ricchi risultino anche i maggiori erogatori. Poco meno del 20% delle entrate totali Ue per il 2008 sono giunte dalla Germania, il 16,9% dalla Francia, il 13,3% dall'Italia, l'11,4% dalla Gran Bretagna e il 9,5% dalla Spagna. Viceversa, a essi tocca assai meno nelle erogazioni: circa il 12% alla Francia, meno dell'11% alla Spagna, poco più del 10% alla Germania e del 9% all'Italia.
Proprio il capitolo delle spese risulta essere assai più complesso. La ripartizione per grandi voci di uscite sfata innanzitutto alcuni radicati luoghi comuni in merito al loro impiego e alla reale utilità. Si conferma il calo degli interventi a favore della spesa agricola, per decenni la grande divoratrice delle risorse europee a causa del perverso meccanismo che premiava il reddito dei produttori a prescindere dalle quantità prodotte, molto spesso eccedentarie rispetto alla domanda interna. La voce principale di uscita è costituita dagli stanziamenti per la competitività e la coesione produttiva e occupazionale.
Sotto queste voci generali sono infatti rubricati tutti i principali interventi di spesa produttiva, dalla ricerca scientifica ai grandi progetti infrastrutturali (trasporti, energia, spazio), dalla spesa per la formazione e l'istruzione (il programma Erasmus su tutti) al sostegno alle imprese, dalla tutela della salute e dei consumatori ai fondi strutturali per ridurre i divari socio-economici tra le regioni europee. Senza scordare le spese (7,4 miliardi) della Ue come "attore globale": aiuto al Terzo mondo, specie alle ex colonie, finanziamento dei grandi programmi sanitari e alimentari, assistenza ai paesi di prossima adesione, ma anche politica estera e di sicurezza.
Una "leggenda" che esce ridimensionata è anche quella di una spesa amministrativa che divora gran parte dei bilanci: i 7,7 miliardi stanziati per il 2009 possono apparire cospicui, ma la loro incidenza è appena il 5,7% del totale (vedi articoli a pagina 3).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

25 Maggio 2009
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