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Governo Brown appeso a un filo

di Leonardo Maisano

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04 giugno 2009
Gordon Brown (Afp)

La testa rossa di Hazel Blears irrompe sulla Bbc, il sorriso che accompagna le dimissioni dal governo della seconda signora ministro nel volgere di ventiquattr'ore, è una lama nel petto di Gordon Brown. Nigel Farage, leader del partito antieuropeista Ukip, sibila «ora il mio obiettivo è lui». Nel quartier generale degli euroscettici più radicali, guarda alle immagini tv di una crisi che precipita e giura che il suo trionfo alle elezioni di oggi sarà la revolverata finale alla testa del premier. È possibile, per i sondaggi probabile. La Gran Bretagna va alle urne per rinnovare decine di amministrazioni locali (contee e comuni ma non le grandi città) e per scegliere i rappresentanti di Strasburgo. Il week end passerà sgranando il rosario delle urne. Municipi, contee fra venerdì e sabato. Poi, domenica e lunedì lo spoglio delle schede per il parlamento Ue. E per Gordon Brown sarà un lento avvitarsi. «Neppure troppo lento», aggiunge Farage. «Il nostro obiettivo è arrivare secondi, alle spalle dei conservatori. Di aumentare i dodici eurodeputati presi nel 2004. Potremmo conquistarne venti scardinando le resistenze liberaldemocratiche e laburiste. Avviando la marcia di Londra fuori dall'Unione». L'obiettivo finale dell'Ukip è il distacco da Bruxelles e in queste ore di cataclisma politico sulla scia del cataclisma economico, il ritorno nella dimensione insulare fatta di più rassicuranti certezze, paga. Avanza l'Ukip, si moltiplica il Bnp che su una piattaforma razzista potrebbe guadagnare i primi rappresentanti a Strasburgo, occhieggiano anche i Verdi. Il proporzionale che sarà utilizzato per le europee premia le forze minore e penalizza ancora di più i grandi partiti.

Nigel Farage e gli altri profeti di una politica fatta di slogan ad alto tasso di demagogia incasseranno il prezzo di una crisi politica che non ha precedenti. Bisogna tornare ai tempi dell'eliminazione di Margaret Thatcher per mano dei giovani turchi conservatori, all'alba degli anni Novanta, per trovare qualcosa di simile a quanto avviene oggi.
Messi in fila, i fatti, disegnano un crescendo spettacolare. Due giorni fa le dimissioni del ministro degli Interni Jacqui Smith schiaffeggiata dallo scandalo dei rimborsi e dalla passione per i porno in conto spese governativo del marito; ieri mattina un editoriale del Guardian, giornale apertamente filo laburista, che chiede a Gordon Brown di andarsene lasciando il partito a un leader in grado di rifondare le regole dello Stato in coalizione con i liberal-democratici; poche ore più tardi il sorriso velenoso di Hazel Blears, ministro per le comunità locali, che si licenzia prima di essere cacciata, dopo essere stata pizzicata nel tormentone sulle note spese; nel pomeriggio la notizia, non confermata, di una raccolta di firme fra i deputati laburisti per mettere insieme 70 nomi, numero magico per sfidare Gordon Brown alla leadership del partito e premiership del paese. E poi la voce di un calendario del golpe già tracciato per avere, in meno di un mese, un nuovo primo ministro a Downing street. Infine l'ultimo rumor di un giorno che Londra vorrebbe dimenticare, quello secondo cui l'addio di Hazel Blears sarebbe la vendetta per gli attacchi, con documenti che sarebbero stati fatti uscire ad arte, orchestrati contro di lei dall'ufficio del premier.

Realtà romanzesca ? Non è detto. L'accelerazione degli eventi ha travolto i contrafforti fra blairiani e browniani. Così, in tanti, hanno letto la mossa di Hazel Blears, più blairiana di Blair, come il via alla contesa fra le due fazioni per disegnare nuovi equilibri. Le sue dimissioni il giorno prima delle elezioni che dovranno valutare la tenuta del partito e del leader del partito, sono il più duro affondo mosso a Gordon Brown.
Quello che potrà accadere nelle prossime ore è difficile da ipotizzare. Due passaggi sono certi: il voto e il rimpasto. L'andamento del secondo dipenderà dall'esito del primo. Se Gordon Brown riuscirà a contenere la caduta entro limiti ragionevoli potrà gestire il cambio all'interno del governo come lui vuole. Il che significa sostituire il cancelliere Alistair Darling con il delfino Ed Balls, piazzare il defenestrato cancelliere agli Interni e magari accontentare il capofila dei blairiani, Peter Mandelson, agli Esteri. Se, invece, così non sarà, se fra gli elettori prevarrà la voglia di populismo, sbattendo Brown alle spalle anche del sorridente Nigel Farage, il rimpasto rischia di non compiersi nemmeno. I settanta nomi degli aspiranti golpisti si troveranno in fretta e il pragmatismo britannico potrà dare un altro colpo alla storia, spingendo nell'angolo l'uomo che nel pieno del credit crunch venne salutato dalla nazione intera, e anche molto oltre la Manica, come il salvatore del mondo dall'esplosione della finanza.

04 giugno 2009
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