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Virus Influenza A: sintomi e news sulla nuova influenza H1N1

 
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Le ricette delle regioni per fermare l'influenza A

di Celestina Dominelli e Lucilla Vazza

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19 ottobre 2009


C' è chi, come la Toscana, ha attrezzato una "super ambulanza" per il trasferimento dei casi più delicati. Chi, invece, è il caso della Liguria, ha recuperato e potenziato l'esperienza di un gruppo di studio per le emergenze, già rodato per l'influenza aviaria, nel 2005.E c'è anche chi, come la Lombardia, ha messo mani al portafoglio per dotare le proprie strutture di macchinari all'avanguardia.
Tra le regioni è partita una sorta di gara di creatività, ma anche di solidarietà, per gestire le eventuali emergenze legate all'influenza da virus A(H1N1).
C'è la prevenzione,d'accordo. Regole scontate, eppure spesso dimenticate: lavarsi con cura le mani; evitare di toccarsi occhi, naso e bocca; coprirsi la bocca e il naso con un fazzoletto di carta quando si tossisce e starnutisce.E poi c'è il vaccino, che entro poche settimane sarà somministrato a oltre 8 milioni di persone. Ma il ministero e le regioni si stanno al tempo stesso preparando al peggio.
Per organizzare in modo adeguato i servizi, ci si affida non solo alle forze sul campo, ma anche agli algoritmi matematici che aiutano a valutare il possibile impatto sui reparti di rianimazione e terapie intensive degli ospedali. Che potrebbero essere chiamati a un super- lavoro. Perché l'influenza A può portare, nei casi più complicati, a gravi insufficienze respiratorie.

Il ministero lo ha detto chiaramente in una circolare di qualche giorno fa. Quattro pagine fitte fitte in cui il viceministro Ferruccio Fazio chiede alle regioni di dare uno sguardo in casa propria. Per identificare i reparti in cui far convergere i pazienti colpiti da particolari complicanze e definire un sistema organizzato su più livelli in grado di gestire e smistare i casi più problematici. Una sorta di piramide in cima alla quale devono esserci dei centri di riferimento regionali o interregionali per le situazioni di maggiore complessità. Ospedali in parte già indicati dal ministero e in parte ancora da trovare. Che hanno al loro interno una macchina finora poco nota al grande pubblico, ma che per cardiochirurghi e intensivisti è un'alleata di lungo corso già usata negli interventi a cuore fermo e nei trapianti: l'"Ecmo".
Si tratta dell'acronimo di ExtraCorporeal Membrane Oxygenation. È una pompa che ossigena il sangue dopo averlo fatto uscire dal corpo del paziente con un polmone gravemente compromesso. Una respirazione "extracorporea" che si rende necessaria quando tutte le altre strade normalmente praticate non hanno dato gli esiti sperati. E per capire un po' di più questa "scatola magica", tornano utili le parole di chi l'Ecmo l'ha messa a punto al policlinico di Milano: «Il polmone artificiale, la ventilazione meccanica e l'Ecmo sono tutti sistemi - spiega il "padre" della macchina, Luciano Gattinoni -, che non curano ma che consentono di "comprare il tempo" in attesa che farmaci e medici possano agire». Perché c'è una cosa che è bene non scordare: l'Ecmo non è la panacea di tutti i mali. E la capacità di usarla, anche per curare i casi limite dell'influenza A, non si improvvisa.
Massimo Antonelli, responsabile della Terapia intensiva e della rianimazione del Gemelli di Roma, ricorre a una metafora sportiva. «Disporre dell'Ecmo senza un'adeguata preparazione del personale è un po' come avere una Ferrari ma senza il pilota in grado di guidarla».
Per questo le Regioni stanno passando al radar i loro ospedali per capire quali possono diventare poli di riferimento per trattare con l'Ecmo i pazienti gravissimi colpiti da influenza A. Il punto è che una cosa è utilizzare il macchinario per il tempo limitato di un intervento a cuore fermo, altra cosa è dover attaccare anche per più settimane alla macchina un paziente con una grave insufficienza respiratoria.
La mappatura del territorio a cui lavora il ministero serve anche a garantire risposte uniformi, da Nord a Sud. Tutte le regioni sembrano pronte ad affrontare gli scenari più cupi. Come già si era fatto in passato, ai tempi dell'influenza aviaria. Senza dimenticare, ricorda saggiamente Antonio Giordano, direttore generale dell'Ospedale Cotugno di Napoli, «che noi lavoriamo tutti i giorni e che l'organizzazione sanitaria in Italia e in ogni regione non nasce per fronteggiare questa emergenza».
Il Cotugno, dove si registrò quello che fu frettolosamente etichettato come il primo morto da influenza A, è, insieme al Policlinico Federico II di Napoli, uno dei due centri di riferimento per i casi più complicati individuati dalla regione Campania. Due strutture anche per la Puglia, il Policlinico di Bari e il Vito Fazzi di Lecce. Mentre la Calabria ha scelto l'azienda ospedaliera di Cosenza, già dotata della macchina "salva-polmone", come polo strategico. Ma sono pronti anche per una seconda struttura. Un titolare e una riserva di qualità, dunque. Come accade anche in Sardegna dove i casi più gravi finiranno all'Ospedale Brotzu di Cagliari, ma anche Oristano si sta scaldando a bordo campo. E poi c'è la Basilicata che ha scelto l'Ospedale San Carlo di Potenza. Insomma il Sud pare aver riscoperto nell'emergenza la propria forza. Così la Sicilia ha deciso di calare l'asso dell'Ismett, l'istituto specializzato nei trapianti, dove è già pronto un piano precauzionale.
  CONTINUA ...»

19 ottobre 2009
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