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Contro le lobby anti-innovazione

di Salvatore Carrubba

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18 Maggio 2003

Ecco l'articolo di Salvatore Carrubba, pubblicato sul "Sole 24 Ore" del 18 maggio 2003 , allegato in stralcio nei documenti che corredano la traccia del tema su "2009: anno della creatività e dell'innovazione"


Contraddittorio se non schizofrenico: così si potrebbe fotografare il rapporto con la conoscenza del l'uomo moderno; il quale, se da un lato non si nega alcun gadget della tecnologia, dall'altro guarda spesso con malcelato fastidio, se non con netta ostilità, ai progressi ulteriori della scienza e della ricerca, mascherando magari con una carica ideologica la propria sostanziale ignoranza. L'economia della conoscenza, quella che ha permesso al capitalismo occidentale di diventare la più poderosa macchina di trasformazione economica, sociale e politica della storia, rischia così di restare solo un'etichetta per i convegni, e di non poter spiegare le sue straordinarie potenzialità. Il libro di Joel Mokyr, tra i maggiori studiosi statunitensi di storia economica, indica appunto le condizioni perché il percorso di progresso scientifico e tecnologico che ha fatto il tempo moderno possa essere proseguito con successo.

Non uso a caso i due aggettivi "scientifico" e "tecnologico". Perché per Mokyr essenziale è comprendere il ruolo che le due forme di conoscenza, le due facce della conoscenza «utile», possono svolgere: la prima è la conoscenza sul "cosa", la conoscenza di proposizioni sui fenomeni naturali e sulle regolarità; la seconda è la conoscenza sul "come", la conoscenza prescrittiva, le tecniche. Mokyr dimostra efficacemente una prima realtà: le due forme di conoscenza non sono staccate l'una dall'altra. Le tecniche, è vero, possono non nascere nei laboratori scientifici, ma dall'esperienza di un artigiano intelligente piuttosto che dalla buona sorte di un'osservazione casuale. Ma anche la fortuna, per dirla con Pasteur, aiuta «gli animi predisposti». Ossia, senza un deposito ricco e condiviso della prima forma di conoscenza, quella teorica e di ricerca, la seconda non ha incentivi e motivazioni: senza ricerca, dunque, non c'è tecnica, o non ce n'è a livelli sufficienti per assicurare sviluppo economico.

Lo conferma la storia della Rivoluzione industriale che si potè consolidare grazie alla diffusione delle scoperte scientifiche, non meno che alla divulgazione affidata a pubblicazioni, enciclopedie e formazione professionale diffusa; e che diede vita, a partire dalla Gran Bretagna, a un nuovo sistema politico che riconobbe e rese l'attività imprenditoriale più attraente rispetto alla semplice rendita. Illudersi insomma che l'innovazione nasca in fabbrica è pericoloso. A una società che voglia davvero cogliere le opportunità dell'economia della conoscenza servono un sistema di ricerca diffuso e frequenti contatti tra il mondo accademico e scientifico e quello della produzione: «La conoscenza deve scorrere da quelli che sanno cose a quelli che fanno cose». La storia ci ricorda che il progresso scientifico e tecnologico non è stato né semplice né indolore: le lobby minacciate dall'avanzata delle tecniche hanno sempre saputo ingaggiare una resistenza senza quartiere. Magari facendo leva su paure ancestrali e timori indimostrabili dell'opinione pubblica. Ma è proprio la resistenza di queste lobby, come ha dimostrato Mancur Olson, che minaccia il funzionamento e la dinamica delle società democratiche, che debbono dunque darsi volontà e strumenti per resistere alle gilde e alle corporazioni di oggi, schierate come ai tempi dei luddisti contro il cambiamento solo per corposi interessi personali.

Così, gli organismi geneticamente modificati non è chiaro se facciano male alla salute, ma fanno certamente male a molte aziende agricole, il che spiega resistenze e campagne di autentico terrorismo ammantate da ottimi propositi. Come ha dimostrato Virginia Postrel in un altro bel libro («The Future and Its Enemies», The Free Press, 1998), passa ormai da qui l'autentico discrimine ideologico del nostro tempo, che oppone i fautori di una società statica a chi crede nelle virtù e nelle potenzialità della creatività, del progresso e dell'impresa. Per una efficace politica per l'innovazione, conclude Mokyr, non basta dunque aumentare a dismisura le spese per la ricerca: contano assai di più un sistema politico e un assetto istituzionale che contribuiscano a diffondere conoscenza, a favorire l'interazione tra scienza e tecnologia, a confidare nel progresso, a resistere agli interessi organizzati.

Joel Mokyr, «The Gifts of Athena - Historical Origins of the Knowledge Economy», Princeton, Princeton University Press, 2002, pagg. 360, $ 35.

18 Maggio 2003
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