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Arriviamo al nodo: i leader. C'è chi, come Paolo Villaggio, li guarda con sarcasmo. «Dovrebbero andare in pensione. E io gli troverei un lavoro. Che so, D'Alema con la sua barca potrebbe accompagnare turisti da Gallipoli in Croazia, Veltroni fare l'aiuto regista, Bersani il maestro elementare, Prodi il ciclista dilettante, Franceschini, con quei toni pacati, il tribuno della plebe». E se il difetto fosse nella forma-partito? Il tema c'è visto che i tre candidati-segretari si scontrano su quale deve essere il peso degli iscritti e quale quello degli elettori delle primarie. Pagnoncelli, con i suoi sondaggi, è arrivato a una risposta. «Il partito solo mediatico alla lunga non regge. Come il partito di soli iscritti. Serve un mix di radicamento e capacità di mobilitazione. Perchè la voglia di farsi coinvogere c'è. Non più nelle forme tradizionali dell'ideologia ma sui singoli temi che muovono la società».
Una volta era tutto più facile: il mondo diviso in due, blocchi sociali distinti. Lo riconosce Bodei: «I grandi leader si erano forgiati a una lotta politica dura, hanno sperimenato l'esilio: Nenni, Togliati, De Gasperi. Oggi i nostri apparatciki hanno un'idea della politica legata all'amministrazione. Ma dovrebbero rileggersi Max Weber "La politica come professione". È questa la sfida».