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Ricostruire all'insegna della sostenibilità

di Giovanni Leoni

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Intervista a Franco Purini e Francesco Venezia

Entrambi siete stati tra i protagonisti nell'impegno della cultura architettonica per la ricostruzione del Belice. In quel caso, come di fronte alla emergenza in Abruzzo, si delinearono due possibilità: costruire una Città Nuova, alternativa ai centri danneggiati, ciò che accadde prevalentemente a Gibellina, o ricomporre e integrare i tessuti storici, scelta che prevalse, ad esempio, a Salemi. Quale riflessione potete fare, oggi, su quella esperienza e quali indicazioni operative potete trarne per l'attualità?

Franco Purini Una volta chiarito che ogni caso è un caso a sé, c'è da dire che probabilmente in Abruzzo occorrerà utilizzare entrambe le possibilità. E' assolutamente necessario, infatti, ricostruire come erano e dove erano i tessuti e gli edifici storici così come si dovrà procedere a riedificare il patrimonio moderno e contemporaneo andato distrutto e gravemente compromesso in nuovi insediamenti, da localizzare tenendo presenti una serie di fattori, tra i quali, fondamentale, l'accessibilità. Si dovranno realizzare quartieri innovativi di limitata grandezza, predisposti per dar vita a un abitare sicuro, accogliente e avanzato. Quartieri innovativi sul piano dei requisiti sociali e su quello della sostenibilità. In sintesi, il modello operativo del recupero e della ricostruzione delle preesistenze, e quello della rifondazione ex novo di unità urbane possono senz'altro integrarsi dando risultati eccellenti, sia a livello insediativo sia per quanto riguarda la qualità architettonica.

Francesco Venezia Fatto salvo il dolore, e la sofferenza, che conosco per aver vissuto un terremoto, occorre dire che la bellezza delle nostre città storiche deriva dal loro essere frutto di continue rigenerazioni, seguite a distruzioni. Distruzioni per eventi straordinari e imprevisti - terremoti, incendi, guerre - oppure distruzioni deliberate di monumenti o parti di città, per costruire altri monumenti e altre parti di città. Non credo in una città nuova. Occorre pensare a una continua rigenerazione della città storica. Così si è formato il nostro patrimonio. La complessità, la sedimentazione, la stratigrafia storica, sono la peculiarità delle nostre città. La nostra psiche ritrova favorevoli e interessanti corrispondenze in questo tipo di città. Le città nuove post-terremoto sono devastanti per due motivi. Sia perché, in assoluto, la stratificazione è benefica per la mente, sia perché gli abitanti - ed è accaduto nelle città nuove del Belice - hanno avvertito una soluzione di continuità con il proprio passato e ciò determina scollamenti di ordine mentale, una incapacità di riconoscere la propria identità, le proprie radici. Il terremoto deve essere affrontato per le sue urgenze, naturalmente, ma inteso anche come occasione di rigenerazione della città esistente.

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Quali sono i casi di ricostruzione, nella storia della architettura italiana e internazionale, che potrebbero a vostro avviso fornire indicazioni metodologiche per l'Abruzzo?
FP Oltre ad alcuni centri del Belice come Gibellina, Salemi, Poggioreale e Partanna, va sicuramente ricordata l'intera esperienza della ricostruzione dei centri del Friuli colpiti dal terremoto del 1976. In quell'occasione si decise di riedificare gli insediamenti danneggiati sul loro sedime facendo al contempo una singolare operazione architettonica, consistente nel mediare nelle nuove costruzioni tra temi tradizionali e motivi tratti dalla ricerca architettonica contemporanea. Questa strategia, che riassorbiva la discontinuità prodotta dall'evento sismico in una continuità di atmosfere urbane e di lessici architettonici locali, dette risultati di notevole qualità. Una buona riuscita della ricostruzione, almeno in particolari casi, si ebbe a Napoli dopo il sisma del 1980, soprattutto nella sua vasta periferia, che vide interventi di notevole interesse. In Irpinia, anche essa colpita nel 1980, le cose andarono meno bene perché mancò un'idea semplice e unificante della ricostruzione, mentre i danni causati dal terremoto in Umbria del 1997 furono risarciti con accorte e tempestive scelte culturali, amministrative e tecniche.

FV Posso indicare il terremoto di Messina come episodio che segna un cambiamento epocale nelle scelte di ricostruzione. Per la prima volta entrano in gioco strategie di intervento parziali, che poco hanno a che fare con l'architettura e con la costruzione della città. A Messina si comincia, dopo il 1908, a farneticare di città-giardino, di edilizia bassa, di urbanistica per isolati con edifici molto distanziati tra loro, introducendo fattori che, geograficamente e storicamente, rappresentano una soluzione di continuità tragica. Immaginiamo, in Sicilia, una città con una grande distanza tra i fabbricati? Si perde l'ombra, scompare un fattore di reazione alle condizioni ambientali. Prevalgono criteri assolutamente lontani dalla architettura della città.
Oggi si incentra la discussione sulle norme antisismiche. Ci mancherebbe che l'architettura non si debba preoccupare di essere solida e duratura. Ma la norma antisismica è un atto dovuto, non può essere bandiera della ricostruzione, non può dettarne l'agenda. E' un ingrediente. Gibellina è stata ricostruita in maniera tale che vi sia, tra gli edifici, una distanza per cui, in caso di eventuale nuovo terremoto, stendendosi al suolo tutti gli edifici, rimangano due corsie per i mezzi di intervento. Così si condanna l'umanità a cinquanta anni di tortura, si obbligano gli abitanti a vivere assediati dalla calura, in vista di un altro terremoto. Nel 1783, il Teatro Marittimo, stupor mundi, viene distrutto, ma ricostruito magnificamente dagli architetti neoclassici come un frammento di S. Pietroburgo calato nel Mediterraneo. Nel 1908 tutto questo si scioglie, e Messina viene ricostruita in maniera brutta e triste per realizzare strutture in cemento armato che, tra cinquanta o settanta anni - perché la cadenza dell'evento sismico a Messina è di circa 150 anni - crolleranno alla prima scossa, in quanto quel materiale ha una durata fisiologica di 70 anni al massimo. Nel frattempo gli abitanti saranno stati privati del piacere di vivere in una bella città. All'Aquila già si parla di architettura ecocompatibile, di tetti fotovoltaici. Certamente, mettiamo i tetti fotovoltaici, ma non è quello il punto, non puoi costruire una città sulla base del risparmio energetico. Il risparmio energetico è un atto minimo e dovuto della ricostruzione di una città, non può sostituire la totalità della architettura.

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