ITALIA

 
 
 
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L'imbroglio giuridico di una legge fatta solo da parole cancellate

di Enrico De Mita

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18 giugno 2009

La difficoltà del Parlamento a esprimere una legge elettorale - per tacere delle riforme della Costituzione - ha causato la proposizione di un referendum abrogativo della legge oggi in vigore (da tutti vituperata) che, con un'abile manipolazione, trasforma il premio di maggioranza in premio per il partito vincente. Qualunque sia il risultato ottenuto. È uno strumento perfido per incidere sulla formazione dei partiti, tanto più che esso è stato presentato dai promotori in nome di una critica generica alla vita politica. Nel merito è stato osservato che l'incorporazione dei partiti piccoli da parte di quelli grandi sarebbe provvisoria, perché la formazione dei gruppi parlamentari risponde a regole proprie e pertanto non ci sarebbe la certezza che essi corrispondano ai partiti che hanno partecipato alle elezioni.

L'obiettivo di fondo dei promotori del referendum è il rafforzamento del bipolarismo e ancor più del bipartitismo. Ma da questo punto di vista il referendum è storicamente superato, perché in Italia, dopo le ultime elezioni, l'esistenza dei due poli è largamente superata. Il Pd è fallito come partito a vocazione maggioritaria, sicché diventa patetica l'adesione di questo partito per mantenere in piedi una prospettiva di cui sono venuti meno i presupposti. Lo schieramento di destra dopo la fusione, anzi a causa di essa, non è un polo, malgrado la forza, capace di attrarre altri partiti. Sono apparse all'orizzonte nuove forze politiche tutt'altro che disposte a lasciarsi assorbire in due grossi schieramenti contrapposti. E giacché in Italia i referendum sono fatti dai partiti malgrado la retorica della "volontà popolare", e giacché i partiti sono fatti di persone, si capisce perché metà degli italiani non comprendono di che si tratti.

Allora perché farlo? Occorre distinguere il profilo giuridico formale da quello storico politico, che conta molto di più. I partiti si aggregano e si disgregano per vita naturale. Non è servita la vocazione maggioritaria a fare del Pd un polo capace di aggregazione. Si pensi a quanti partiti sono esistiti in Italia dal dopoguerra ad oggi. Sono scomparsi, senza nessuna legge elettorale, partiti piccoli (penso al Pri) che hanno costruito le basi della nostra democrazia; sono scomparsi partiti che pure avevano legami con la storia politica dell'Italia. Il referendum è strumento improprio per razionalizzare, secondo criteri di logica pura, il sistema politico. Alla Costituente si voleva mettere nella Costituzione il principio proporzionalistico, che non passò per un infortunio dei lavori parlamentari.

L'argomento più diffuso fra i referendari è quello più pretestuoso: col referendum si vuole abolire una legge sbagliata. Ma i referendum in Italia possono essere solo abrogativi, e nel caso di abrogazione di alcune leggi come quella elettorale, entra in vigore la legge di risulta, sicché l'esito diventa manipolativo. Ed è un imbroglio giuridico trasformare una legge dal senso compiuto, sia pure discutibile, in un'altra legge, confusa nella forma e nella sostanza, per la semplice soppressione di una parola.

18 giugno 2009
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