Domenica e lunedì si voterà per i referendum sulla legge elettorale. Il nostro principale nemico è l'astensione. E non per caso. Sul referendum c'è stato un vero e proprio boicottaggio, conformemente al disegno enunciato dal ministro Roberto Maroni all'indomani della raccolta delle firme, quando disse che la Lega si sarebbe adoperata perché il referendum non raggiungesse il quorum. E così la Lega ha minacciato la crisi di governo per evitare che si facesse l'election day, abbinando il referendum alle elezioni europee e risparmiando centinaia di milioni di euro. L'informazione è stata scarsissima e, a cinque giorni dal voto, il 50% degli italiani non sa nemmeno che una consultazione referendaria si terrà. L'obiettivo è chiaro. Se pochi sanno che si vota, molti evidentemente non andranno a votare e prevarrà l'astensione.
La posizione astensionistica è stata sposata praticamente da tutte le forze politiche contrarie ai quesiti, con l'eccezione del partito radicale che, lealmente, si batte per il no. Altri, come l'Italia dei Valori, dopo aver raccolto le firme e aver sostenuto il referendum fino a qualche settimana fa, hanno repentinamente cambiato posizione a seconda delle convenienze elettorali del momento (leggi elezioni europee).
Perché i contrari, anziché invitare a votare no, propugnano l'astensione? È molto semplice. Perché per essere valido il referendum ha necessità che voti almeno la metà degli aventi diritto. E poiché in Italia c'è un 20% di elettori che a votare non va mai, per nessuna consultazione elettorale o referendaria, per i contrari è sufficiente convincere il 30% degli italiani attivi, e il gioco è fatto: un calcolo meramente opportunistico. Anche perché, sul piano del risultato, l'astensione equivale al no. Se il referendum fallisce, rimane la legge elettorale che c'è chissà per quanto tempo ancora.
Perché allora votare sì? Le ragioni sono tante. Ne indicherò tre. Perché i primi due quesiti ci consentirebbero di approdare al bipartitismo delle grandi democrazie (Usa, Regno Unito, Francia), un sistema in cui il partito che ha un voto in più vince le elezioni e ha la responsabilità di governare senza dover subire i ricatti degli alleati minori (così come ha fatto la Lega in relazione all'election day). In nessuna democrazia che conta una minoranza può far cadere il governo: per questo l'Italia conta poco. Perché il terzo quesito riguarda lo sconcio delle candidature multiple, per cui i parlamentari continuano ad essere nominati anche dopo le elezioni dai big dei partiti che si sono candidati ovunque. Perché il Parlamento in trent'anni non ha fatto alcuna riforma di se stesso e la legge elettorale "porcata" (Calderoli dixit) in quattro anni non è stata modificata da nessuno.
Capisco lo scoraggiamento e il disgusto verso la politica. Non votare al referendum non è un dispetto alla casta. È il favore che la casta vorrebbe e che chiede, invitando all'astensione.