ITALIA

 
 
 
Premio di maggioranza alla lista più votata - Camera
Affluenza - definitiva : 23,31%
Enti pervenuti 9249 su 9249
QUORUM NON RAGGIUNTO
NO
77,62% 22,37%
Sezioni scrutinate 62577 su 62577
Premio di maggioranza alla lista più votata - Senato
Affluenza - definitiva : 23,31%
Enti pervenuti 9249 su 9249
QUORUM NON RAGGIUNTO
NO
77,67% 22,32%
Sezioni scrutinate 62577 su 62577
Abrogazione candidature multiple
Affluenza - definitiva : 23,84%
Enti pervenuti 9249 su 9249
QUORUM NON RAGGIUNTO
NO
87,00% 12,99%
Sezioni scrutinate 62577 su 62577
 
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Non ho dubbi: due no e un sì anche per salvare l'istituto

di Michele Ainis

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18 giugno 2009

Dichiarazione di voto: due no e un sì. Contro l'attribuzione del premio di maggioranza al partito più gettonato (sia al Senato che alla Camera), in favore dell'abolizione dei pluricandidati. Ma almeno in questo caso, la scelta di votare è più importante del come votare. Perché sta montando una campagna astensionistica, e perché la sua vittima (ahimè, predestinata) non è tanto il triplice quesito elaborato da Guzzetta, quanto piuttosto il referendum in sé e per sé, l'istituto congegnato dai costituenti nell'articolo 75 della Carta.

Non abbiamo in tasca altri strumenti di democrazia diretta (a parte le leggi d'iniziativa popolare: ma sono altrettante suppliche al sovrano, che le Camere sovranamente ignorano). Domani non avremo in tasca neanche questo, se farà cilecca come i 21 referendum che lo hanno preceduto, dal 1997 in poi. Vallo a raccontare a chi s'oppone alle ronde istituite per decreto, alla stretta contro gli immigrati, al testamento biologico prossimo venturo, che c'è pur sempre una pistola da impugnare. Ti guarderà con l'espressione stralunata: la pistola è scarica, se salta pure quest'altro referendum tanto vale depositarla in un museo.

D'accordo, ma nel merito? Cominciamo dal sì per cancellare i pluricandidati, che poi diventano giocoforza plurieletti, sicché decidendo dove collocare il proprio seggio decidono al contempo la sorte di chi si trova in coda. Un'aberrazione, e altresì una truffa agli elettori. Perché è vero che le candidature dipendono comunque dalle scelte dei partiti; tuttavia con questo marchingegno i signori dei partiti ci comunicano la scelta dopo, anziché prima del rito elettorale. Una cooptazione al quadrato.

Rimangono i due no. Duri da pronunziare, per chi ha fatto parte del comitato promotore. Ma le leggi elettorali non sono i dieci comandamenti, impermeabili alle stagioni della storia. La loro virtù è sempre una virtù riflessa, è lo specchio del sistema cui si riferiscono. Nella primavera del 2007 - quando 820mila italiani firmarono per i referendum - c'era un governo prigioniero di 11 partiti, ciascuno dei quali pretendeva il suo piatto di minestra. Da qui il record di ministri e sottosegretari (102), da qui leggi gonfie come un panettone (1.365 commi in un articolo di legge: la finanziaria 2006). Da qui, in ultimo, una cifra di disperazione collettiva, che il referendum seppe intercettare.

Ma oggi? Con soli cinque partiti in Parlamento, il problema non è troppa rappresentanza, bensì troppo poca. E oltretutto i due maggiori partiti hanno al fianco un alleato che pesa il 10% (rispettivamente la Lega e Idv). Se gli regaliamo il premio (dunque il 54% dei seggi), insieme all'alleato raggiungono i due terzi, e magari cambiano la Costituzione in solitudine. No, oggi il referendum dà vitamine a un energumeno. Meglio non rischiare.

18 giugno 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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