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Due Italie anche nell'istruzione

di Luigi Berlinguer

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23 Agosto 2009

Nell'esplosione della questione meridionale si sono scoperti stanziamenti dirottati, disinvoltura della finanza creativa, numeri e cifre allarmanti. Come testimonia il dibattito sul Sole 24 Ore la questione meridionale si è ulteriormente aggravata ed è tornata ad essere grande questione nazionale. Quel titolo «Mezzogiorno in fondo all'Europa», non solo in fondo all'Italia, colpisce per la sua crudezza. Altri elementi arricchiscono l'analisi. Bankitalia sul costo della vita, i dati sulla povertà, sulla forbice reddituale, sulla debolezza della struttura produttiva, sui maggiori costi della sanità.

Ci si dovrebbe però soffermare su un aspetto ancora in ombra: la crisi del sistema educativo nel Mezzogiorno d'Italia. Premetto che gli indicatori non sempre sono "tarati" nella giusta misura e che non mancano le eccezioni. A proposito del contesto culturale l'Istat afferma che in Friuli e nel Nord in complesso le persone con più di 6 anni che abbiano letto almeno un libro nel corso di un anno sono il 53% contro il 30 di Campania e Sicilia e il 29 della Puglia. Stesso abisso per le visite a mostre e musei.

Per la prima volta da decenni, i livelli di preparazione di uno studente - dalle elementari alla conclusione del ciclo di studi secondari - cominciano a mostrare significative differenze tra Nord e Sud del Paese. I dati Ocse-Pisa lo confermano: alcune regioni del nord-Italia sono sopra la media Ocse-Pisa (matematica, lettura, scienze...); la Sicilia è in tutte e tre le discipline sotto quella media. Altri dati indicano la cosiddetta "varianza" da scuola a scuola: la media nei Paesi Ocse è del 33% in Italia supera il 52%. Ciò significa che in Italia l'uniformità di apprendimento è oggi messa fortemente in discussione. È il campanello d'allarme di un sistema che non funziona più. Nei Paesi evoluti merito e eccellenza vanno di pari passo con la qualità media della scuola. Nel mondo scandinavo i dati dimostrano come a una media elevata corrispondano elevate eccellenze. Quindi il merito non va perseguito per pochi ma è da pretendere per tutti. In Italia gli istituti tecnici e quelli professionali registrano risultati peggiori rispetto ai licei. Alligna in questo dato "nazionale" una organizzazione della nostra scuola secondaria socialmente discriminatoria specialmente nel Mezzogiorno. Non è un caso che in Friuli o in Trentino la performance degli istituti tecnici sia praticamente eguale a quella dei licei.

Il divario del Sud con il resto d'Europa e con il resto d'Italia è sintetizzato in un acronimo, Escs (Ecomic social cultural status). Sono proprio le condizioni economiche, sociali e territoriali che producono il "cattivo rendimento" delle scuole nel nostro Mezzogiorno (incidono su base cento per il 27,6). Gli investimenti degli enti locali per studente (fonte: ministero Pubblica istruzione, anno di riferimento 2007) dicono chiaramente che se il Friuli investe 1.309 euro a studente, la Puglia ne investe 569, la Campania 614 e la Sicilia 657. La scuola nel Mezzogiorno, anche qui salvo eccezioni, non è un ascensore sociale. Registra l'ingiustizia sociale, ma non può combatterla. Dai dati di Legambiente (Ecosistema scuola 2009) si scopre che il Sud investe poco in edilizia scolastica e arretra sempre di più nel confronto con il resto d'Italia.

I dati nel mondo sull'informazione culturale-formazione degli studenti dicono che mentre 50 anni fa tutto avveniva dentro le mura della scuola, oggi il 70% della formazione-informazione arriva da fuori. Da sola la scuola forma per una quota minoritaria. Da sola la scuola non ce la fa. Il contesto è decisivo nella formazione, così come la capacità di incrociare attività esterne e interne. La tragedia del gentilismo, l'impianto educativo solo gnoseologico e formalizzato, inutilmente autoritario, penalizza soprattutto il Mezzogiorno.

Il grande obiettivo mondiale dell'education è insegnare a capire, stimolare ed armare gli studenti a conoscere e a capire. È l'intreccio di saperi e competenze: sapere significa vivere e risolvere.

La resistenza all'innovazione didattica è più forte nella media delle scuole del Mezzogiorno - salvo qualche straordinaria esperienza di eccellenza. La società circostante non aiuta, non chiede merito ma voti formali buoni per i concorsi pubblici. I voti degli ultimi esami di "maturità" nel Sud sono stati più alti che nel resto d'Italia. Quello che buona parte della società chiede nel Sud è un pezzo di carta "certificante", non la cultura del risultato, cioè la traduzione del sapere in innovazione nella vita dei cittadini di domani. Anche l'Italia è così al cospetto dell'Europa, ma il fenomeno è ormai più grave nel Mezzogiorno.

L'autonomia scolastica, risolutiva, funziona soltanto se si costruiscono reti di scuole. Reti che al sud scarseggiano. La città educativa, ovvero istituzioni e società civile che promuovono le reti e un tessuto educativo cooperativo, è l'altra grande mancanza. Per lo stato delle istituzioni meridionali difficilissima da realizzare. Il grande dramma è il secolare clientelismo eretto a italica istituzione-principe: la raccomandazione. Il circuito parallelo, il favoritismo, la negazione dell'indissolubile binomio diritto/merito, è una caratteristica italiana che al Sud si aggrava. Il principio della raccomandazione diventa una sorta di anticamera delle degenerazioni successive che possono arrivare a rafforzare quei poteri sociali e militari paralleli (quindi contrapposti) allo Stato: dalla sottrazione di circuiti decisori essenziali alle regole, all'obiettività pubblica. Un quarto d'Italia è in queste condizioni.

  CONTINUA ...»

23 Agosto 2009
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