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LE NOVITA' DEL 2009-2010

Le sedi e le spese universitarie

I test d'ingresso

Test per 110mila matricole

di Francesca Barbieri, Chiara Bussi e Eleonora Della Ratta

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15 GIUGNO 2009

Accesso libero? Sì, ma con verifica. Almeno 110mila matricole nel 2008/09 hanno iniziato l'università mettendosi alla prova con un test. Domande a risposta multipla, di cultura generale o lingue per le lauree umanistiche, di matematica, fisica e chimica per ingegneria o scienze biologiche, di logica per giurisprudenza. Per frequentare corsi non a numero chiuso, ma che presentano comunque uno "scoglio" iniziale da superare: chi non dimostra una preparazione adeguata rischia di trovarsi in svantaggio rispetto agli altri ancora prima di iniziare le lezioni. Una partenza in salita che però - nella quasi totalità dei casi - non impedisce di iscriversi.

La formula della valutazione delle matricole esiste dal 2001, anche se non tutti gli atenei la applicano. L'inchiesta realizzata dal Sole 24 Ore del lunedì interpellando tutte le università dimostra che poco più della metà la prevede, mentre alcune si apprestano a varare le prove nel 2009/2010, in coincidenza con la riforma dei corsi di laurea prevista dal decreto 270 del 2004. L'obiettivo, almeno sulla carta, è duplice: gli studenti possono misurare l'attitudine a frequentare i corsi prescelti; le facoltà "pesano" le conoscenze di base per affrontare con successo gli studi, in modo da predisporre attività di orientamento e formazione.

«A decidere tempi e modi di applicazione dei test - spiegano dal ministero dell'Università - sono i singoli atenei». E si vede. Solo ingegneria ha una prova unica a livello nazionale (si veda l'articolo qui sotto), mentre matematica ha iniziato l'anno scorso a sperimentarla. Nelle altre facoltà, spesso nei singoli corsi di laurea, trionfa l'autonomia: banchi di prova diversi, ma anche criteri di valutazione e conseguenze in ordine sparso. Chi punta ad immatricolarsi a lettere avrà buone chance a Urbino, dove tutti hanno superato le prove. Più selettiva Cagliari, dove solo il 35% dei giovani ce la fa. Domande «elementari», come riconosce Patrizia Mureddu, prorettore alla didattica. Eppure in più di 200 su 300 partecipanti non hanno saputo rispondere. «Le carenze maggiori - sottolinea - si osservano sulle competenze linguistiche e questo spiega anche perchè la nostra Regione è in coda alle classifiche Ocse sulle capacità di lettura e scrittura. Non vogliamo, però, che a lettere si iscrivano studenti esclusi da altre facoltà».

Ma questi test sono davvero efficaci? Risponde da Urbino Loretta Del Tutto, docente di linguistica del testo alla facoltà di sociologia: «Esiste un problema di omogeneità delle valutazioni: all'interno del nostro ateneo c'è chi propone solo colloqui orali e chi fa test scritti, con risultati nettamente diversi». Il metro di giudizio spesso nasconde anche «l'esigenza di attirare studenti per non perdere iscritti, con la conseguenza che la valutazione più o meno severa diventa un rischio per le stesse università».

La più rigida in assoluto è la Scuola superiore per interpreti e traduttori di Trieste: al corso triennale in comunicazione interlinguistica solo il 27% degli studenti ce l'ha fatta. «Puntiamo sulle eccellenze - ammette la preside Lorenza Rega - è inutile dare illusioni a chi non è all'altezza e rischia anche di abbassare il livello medio dell'aula». In più di 400 hanno dovuto rassegnarsi: lo statuto speciale prevede l'esclusione dei candidati impreparati. Un'eccezione visto che secondo la legge i test non sono uno sbarramento all'ingresso, ma solo uno strumento di orientamento. Al polo opposto si trova l'Università dell'Insubria (Varese-Como), dove le prove sono indolori e non ha conseguenze. «Per il prossimo anno accademico - spiegano dall'ateneo - stiamo valutando le modalità di recupero».

Nella maggior parte dei casi con la "bocciatura" gli studenti accumulano un debito formativo che va azzerato entro il primo anno. Corsi di recupero con prova finale per giurisprudenza a Catania o biologia a Ferrara. Esami bloccati a scienze della formazione alla Bicocca di Milano fino a quando non si supera il test. Strade diverse con un'unica meta: ridurre il numero di studenti che gettano la spugna tra il primo e il secondo anno, attualmente il 18 per cento. «È presto per misurare gli effetti sugli abbandoni - rileva Cesare Voci, prorettore alla didattica a Padova - visto che molte facoltà hanno avviato i test solo nel 2008 e per di più con criteri diversi: potrebbe essere utile proporre esami coordinati a livello nazionale e potenziare il raccordo con le superiori».

Dice sì a una prova nazionale, ma con cautela, anche Guido Magnano, coordinatore scientifico del progetto di testing per l'orientamento a Torino, «ma solo per facoltà affini e senza imporre un modello rigido». Guardando al presente il test a risposta multipla, «più che individuare le carenze specifiche di base misura il livello generale di padronanza delle materie e si rivela così un valido strumento per individuare gruppi di studenti a cui proporre attività di sostegno e tutoraggio»

15 GIUGNO 2009
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