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L'opposizione in piazza / «Un'altra Italia è possibile»

di Lina Palmerini

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14 marzo 2010

Nei riti di piazza, alla fine, ci si ritrova tutti insieme per la foto di gruppo. Non è quello che è accaduto ieri a piazza del Popolo. Quando Pierluigi Bersani ha chiuso la manifestazione non ha chiamato a raccolta gli altri leader del centro-sinistra per l'abbraccio finale e la foto della giornata. Non a caso. E anche gli interventi sono stati dosati in modo tale da non essere in sequenza ma intervellati dalla musica o da un'operaia, un'insegnante, un giornalista. Insomma, l'impressione non doveva essere quella di aver resuscitato l'Unione ma di essere riusciti a mettere insieme un'alleanza per le regionali come, appunto, diceva lo slogan "contro i trucchi, per vincere".

E lo "striscione" su cui si sono trovati insieme dalla Bonino a Di Pietro, da Ferrero a Nencini e Vendola o Bonelli, è stato quello della fine del berlusconismo. Unico inizio possibile, forse, per quella «alternativa» così evocata dal palco in primis dal segretario del Pd. Ciascun leader, con la piazza – che gli organizzatori dicono sia stata di 200mila persone mentre la questura parla di 25mila – ha usato i suoi toni, il suo linguaggio. E così mentre Emma Bonino parla di «regime da basso impero, prepotente proprio perché si sente moribondo», Nichi Vendola ha cominciato parlando del «cattivo odore» che emana «la bestia ferita che con i suoi ultimi colpi di coda vuole ferire il paese». Si parla di Berlusconi che nel linguaggio di Bonelli diventa «Putin» e in quello di Di Pietro «Nerone che ride mentre l'Italia brucia». E, alla fine, con più realismo, Bersani dirà che «il premier è troppo forte per essere finito ma troppo finito per essere forte».

Tutti vedono il tramonto di un'era politica e da questo spiraglio costruiscono l'alternativa. A cominciare da chi guida il primo partito dell'opposizione che fissa un appuntamento: «Dopo le regionali dobbiamo lottare per un'altra legge elettorale». Questo è l'obiettivo politico ma ieri la piazza serviva a darsi coraggio: «Combatteremo per l'alternativa possibile e – diceva Bersani – impediremo che il suo nervoso tramonto travolga nel discredito le istituzioni». Per il segretario democratico le regionali sono l'inizio della «riscossa democratica fatta di lavoro, serietà, regole, civismo». Non è ancora arrivata la sentenza del Consiglio di Stato ma lui lo dice prima: «Lista o non lista vinceremo e ribalteremo l'agenda ricominciando da lavoro e democrazia: parole gemelle».

La piazza applaude lui ma ha applaudito tanto anche Emma Bonino che con il suo tono pacato, serio, il suo sorriso appena accennato è l'unica che ha detto di voler parlare «a tutti i cittadini» perché le «diversità sono un valore e noi non vogliamo l'omologazione, noi siamo dei federatori». Tantissimo è stato il tifo per Vendola – vero leader incoronato da piazza del Popolo – che ha suscitato più entusiasmo anche di Di Pietro, con la sua sciarpa viola e il suo silenzio totale sul Quirinale.

Gli attacchi al Colle erano una preoccupazione ma tutto è andato liscio. L'aveva promesso l'ex pm e così si è dissociato da quello striscione su Napolitano ("Repubblica vendesi: rivolgersi a Napolitano") e da qualche maglietta con la scritta «Pertini non l'avrebbe firmato». L'ex pm si è dedicato solo al premier «piduista» e al direttore del Tg1 quando ha detto «l'informazione è in mano ai Minzolini» ricordando l'inchiesta di Trani (fischi dalla piazza) e a un cronista avrebbe detto pure che il direttore del Tg1 meriterebbe «un calcione nel sedere». Ma non fa mancare una stilettata al centro-sinistra che «dovrebbe chiedere scusa» per aver consentito il conflitto di interessi.

Il popolo viola non era sul palco ma nei gazebo e tra la gente. C'era la Cgil e il suo segretario. Molte le macchie di viola però erano nella zona-palco: Di Pietro, Vendola, Ignazio Marino ma certo non D'Alema che anche su Di Pietro ristabilisce l'ordine di grandezza «noi siamo al 30%, lui al 6% ma è importante il messaggio di unità delle forze che si trovano qui». E parlando di unità c'è anche quella del Pd e, fatta eccezione per gli ex Ppi di Marini e Fioroni, ci sono tutti: Walter Veltroni con la sua famiglia che respinge ogni domanda e sceglie il silenzio, Dario Franceschini, Goffredo Bettini, Pierluigi Castagnetti. E poi si vedono i "vecchi" compagni: Fausto Bertinotti, Armando Cossutta. Alla fine della kermesse qualche battuta ci sta bene e Bersani non le sbaglia. «Questo premier che fa tutto, il capolista, il capopolo, il caporedattore del Tg1 ma non il suo mestiere». E poi l'ultima sferzata guardando uno degli striscioni sull'Abruzzo: «Berlusconi detto Carnera dovrebbe prendere la carriola e portare via un po' di macerie dall'Aquila». Tra gli assenti l'alleato – a regioni quasi alterne – più corteggiato, Pier Ferdinando Casini che mostra di non gradire: «Una piazza che recupera l'Ulivo ed esibisce cartelli oltraggiosi contro il Colle è un errore e un aiuto a Berlusconi».

14 marzo 2010
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