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Il Carroccio entra in banca

di Marco Alfieri

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30 marzo 2010

«La Padania è una nazione, l'Italia solo uno stato...». Ieri il vecchio mantra bossiano è uscito dai cassetti delle prime Pontida per finire sulla bocca di molti leghisti, in un modo così liberatorio che solo la presa del Piemonte e di Torino può completare, a pochi mesi dal centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia? Forse una svolta così non se l'aspettava nemmeno Giuseppe Leoni, l'architetto amico di Umberto Bossi, quando il 7 luglio 1985 fece il suo primo discorso in consiglio comunale a Varese in dialetto bosino («sciur president, cullega?»). Mai avrebbe pensato che dalle Prealpi stava per alzarsi un vento che avrebbe cambiato l'Italia. Il vento del Nord, il ritiro della delega politica alla vecchia Dc. Invece 25 anni dopo quella stramberia in vernacolo il leghismo è diventato senso comune diffuso, capillare. Dal vento al partito del nord, semplicemente: «Balena verde», «padanizzazione delle masse».

Da ieri sera infatti la vecchia ridotta lombardo- veneta sta diventando un unico grande nord, da Torino a Venezia. Giù giù fino all'Emilia Romagna, dove il Carroccio sale al 13,7%, incrementando la leghizzazione del centro Italia avviata nel 2008. I leghisti sono ad un passo dal prendere il vecchio regno sabaudo, crocevia del Risorgimento, e sono tabù che si spezzano negli ovattati palazzi del potere in centro a Torino; ha accorciato in Lombardia sull'alleato rivale Formigoni (erano 11 punti di scarto nel 2009 ora sono 5), aprendo le danze sul sindaco di Milano 2011. E ha sbancato in Veneto, staccando il Pdl orfano di Galan di 11 punti. Confermando quel che molti dissero a Berlusconi: dare il Veneto alla Lega sarà la tomba del partito al nord.

Il voto di ieri aggiunge però un ulteriore tassello alla metamorfosi leghista degli ultimi anni. Sulle ronde, in questi giorni si è sorvolato. Zaia ha preferito parlare di Labour party e inaugurare la sede di Marghera. Passo passo, insomma, si è imposta una Lega più moderata, del senso comune, perché quando si è maggioranza bisogna certo comandare ma includendo. Come sapevano fare i vecchi dorotei veneti. Lega nuova Dc sulle orme di Toni Bisaglia? Forse. Questa volta l'hanno sdoganata i ciellini e gli imprenditori veneti, i ceti medi lombardi e financo il Piemonte urbano. Nel mare dell'astensione, la Lega ha funzionato da cestino del voto in uscita dal Pdl, che ha pagato la crisi dei suoi territori più produttivi e, in Veneto, il rompete le righe post Galan.

Per questo, dopo i voti, arriverà in automatico la stagione delle poltrone. Finora al partito è bastato un po' di sottogoverno locale. Al limite l'occupazione dei cda nelle controllate pubbliche. Oggi è diverso. I dossier della galassia del nord sono al centro delle sue trame. Il ruolo di Giancarlo Giorgetti è lì a dimostrarlo, d'intesa con Giulio Tremonti.

A partire dalle fondazioni bancarie, che sono una novantina in tutta Italia ma il 70% sta nel nuovo quadrilatero verde. Cominciando dal Veneto, la Baviera del Carroccio. In Cariverona grande azionista di Unicredit, 22 consiglieri su 32 sono nominati dagli enti territoriali, quasi tutti in mano leghista. E l'anno prossimo va a scadenza il presidente Paolo Biasi, con Zaia e il sindaco di Verona, Tosi, d'accordo sul ricambio. Bastava sentirlo, l'altro giorno, il neo Doge. Ha invitato le fondazioni locali ( Cariverona e Cassamarca) a ribellarsi al "dottor" Profumo, entrato nel comitato pro olimpiadi di Roma. Per lui sono troppo timide nel presidiare gli interessi di territorio. Anche per il monarca ex Dc, Dino De Poli, il destino in Cassamarca sembra segnato: «De Poli ha fallito, sta devastando la fondazione», ha tuonato Zaia. Nel 2012 scade il consiglio e c'èchi parla al suo posto dell'avvocato Malvestio. «In ogni caso vigileremo sui soldi dei veneti», ricorda il neo governatore alla vigilia dell'incontro con Profumo.

In Lombardia, dove il Carroccio non sorpassa il Pdl ma accorcia pesantemente, la partita è anzitutto politica. Al Pirellone il Carroccio strapperà la vice presidenza con Andrea Gibelli e almeno 4 assessorati di peso tra cui Infrastrutture, Sanità e Cultura e sport. L'obbiettivo è imporre la diarchia a Formigoni, dopo 15 anni di monopolio Cdo. Sullo sfondo la partita per il voto a Milano su cui Bossi mette la bandierina, e almeno 2 grandi risiko: il rinnovo della Fondazione Cariplo, azionista di Intesa Sanpaolo (la presidenza di Guzzetti scade nel 2013 ma a maggio si va al ricambio del cda a sei. E va da sé che il Carroccio chiederà ampia rappresentanza); e poi l'Expo 2015, su cui farà valere i suoi appetiti, mettendo in fila la Camera di commercio, le mire formigoniane, e le ambizioni del commissario Moratti.

Tornando a Nordovest, per Bossi prendersi il vecchio regno sabaudo significa penetrare nell'ex triangolo industriale dei salotti buoni e della grande impresa da sempre refrattari. Incrociando il futuro "americano" di Fiat e la deprivazione del potere bancario post fusione con i milanesi di Intesa. Qui il Carroccio farebbe valere il suo nuovo peso, alla scadenza del consiglio della Compagnia di San Paolo, grande azionista di Ca' de Sass: due consiglieri su 21 sono nominati dal governatore. Nella Crt del deus ex machina Palenzona, sarebbero invece 12 su 24 i consiglieri scelti da enti locali leghisti. Messe insieme, le due fondazioni fanno l'8%di Unicredit (a cui va aggiunto il 6 delle gemelle venete): a colpi di nomine dal basso, la Lega diventerebbe l'azionista forte della banca di Profumo. Anche se il vero nodo resta il dualismo nord- sud. «Il sacco del nord» vale 50 miliardi di residuo fiscale che ogni anno se ne scende a Roma. «Lombardia, Veneto e Piemonte saranno le prime regioni a sperimentare il federalismo fiscale », dice Bossi. Altrimenti? Secessione, ma di velluto?

30 marzo 2010
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