La Lega Nord ha vinto, in termini politici ha anche stravinto, ma in voti assoluti non ha sfondato. Forse lo farà in un prossimo futuro grazie anche alle opportunità offerte dal governo di due regioni importanti. Al momento però i dati – quelli in valore assoluto e non le percentuali – dicono che oggi non ci sono più elettori leghisti di ieri. Anzi ce ne sono di meno, sia rispetto alle elezioni politiche del 2008 che alle europee del 2009. Complessivamente nelle otto regioni in cui il Carroccio si è presentato in queste regionali ha raccolto 2.749.874 voti. Nelle europee del 2009 ne aveva raccolti 2.897.179. Nelle politiche del 2008 erano stati 2.847.609. Quindi rispetto all'anno scorso la Lega Nord ha perso 147.305 elettori. Scomponendo questo dato per le singole regioni il quadro è questo. Su otto regioni la Lega guadagna voti in Veneto (+21.493), in Emilia (+8.993), in Toscana (+8.603) e nelle Marche (+15.189). Nelle altre perde elettori: in Piemonte (-59.871), in Lombardia (-104.047), in Liguria (-7.520), in Umbria (-424).
Questo quadro è ben diverso da quello che emerge guardando, come di solito si fa, e percentuali di voto. Infatti in punti percentuali la Lega guadagna dovunque e in qualche caso in maniera molto consistente. Si prenda per esempio il caso del Veneto. Qui gli elettori in più – come si è visto – sono 21.493, eppure in questa regione la Lega passa dal 28,4% delle elezioni europee al 35,2% delle regionali. In Lombardia il Carroccio perde elettori ma in percentuale passa dal 22,7% al 26,2. Come si vede valori assoluti e percentuali offrono prospettive di analisi molto diverse. Va da sé che le percentuali sono importanti perché è su questa base che si valutano i rapporti tra i partiti ma se si vuole capire in che misura una formazione ha fatto nuovi proseliti non è alle percentuali che si deve guardare. La Lega ha ottenuto un grande successo e ha consolidato le sue posizioni al Nord ma senza conversioni di massa. E allora cosa è accaduto? Il successo del Carroccio si spiega semplicemente col fatto che a differenza di alleati e di avversari è riuscito a perdere pochi elettori verso l'astensionismo in una situazione in cui gli altri ne hanno persi tanti. È così mentre tutti gli altri partiti mostrano percentuali di voto al ribasso tra 2010 e 2009 la Lega è l'unico partito che ha un segno positivo passando dal 11,2% al 12,3. È la combinazione di un elevato astensionismo e della maggiore fedeltà dell'elettorato leghista ad aver fatto la differenza.
Le elezioni regionali si prestano male a un'analisi basata sui voti di lista. Questo è vero soprattutto per i due grandi partiti, Pd e Pdl. La presenza di numerose liste civiche o liste personali dei candidati-presidenti altera l'espressione del voto da parte degli elettori. Un altro problema è legato al fatto che alle regionali gli elettori possono non votare una lista di partito e votare solo il candidato della coalizione alla presidenza della regione. Questa possibilità non esiste alle europee e alle politiche. Per questo un confronto tra i voti di lista di Pd e Pdl nel 2010 e nel 2009 va fatto con molte cautele. Ciò premesso, si può dire che tra Pd e Pdl è il partito di Berlusconi ad essere andato peggio sul piano dei numeri anche se diversa deve essere la valutazione dal punto di vista politico. I suoi 9.144.012 voti del 2009 sono diventati 6.649.352. Si tratta di quasi due milioni e mezzo di voti in meno. Senza dubbio una parte di questi voti sono finiti nelle varie liste dei candidati presidente del centrodestra, ma solo una parte. Una grossa fetta sono elettori che avevano votato Pdl nel 2009 ma questa volta non sono andati a votare. La prova sta in un confronto fatto su cinque regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Umbria) in cui non ci sono state liste personali di sostegno ai candidati presidenti. Il campione è interessante perché comprende quasi in ugual misura sia regioni in cui prevale storicamente il Pdl sia regioni in cui prevale il Pd. Bene, in queste cinque regioni il Pdl aveva preso 4.141.349 voti nel 2009 e si è fermato a 2.973.896 in queste elezioni. È una perdita di 1.203.453 voti pari a quasi il 30 del suo elettorato 2009. Nelle stesse regioni il Pd aveva ottenuto 3.655.215 voti e ne ha presi adesso 3.080.466. La perdita è di 574.749 voti, cioè circa il 16 per cento. Complessivamente il Pd ha perso nelle tredici regioni poco più di un milione di voti rispetto ai quasi sette che aveva. In percentuale il Pdl passa dal 35,3% al 29,6%, il Pd passa dal 26,6% al 26,1. Anche tenendo conto delle liste presidenziali esiste certamente un divario nel rendimento dei due partiti.
Ma per il Pd si tratta di una magra consolazione. Anche il partito di Bersani è stato colpito dall'astensionismo. Se così non fosse l'esito della competizione per la presidenza in alcune regioni sarebbe stato diverso. Questa volta, a differenza delle elezioni regionali del 2000 e di quelle del 2005, l'astensionismo non ha avuto un impatto rilevante perché non è stato fortemente asimmetrico. Non ha avvantaggiato il Pd ma non lo ha nemmeno danneggiato più di quanto abbia fatto nel caso del Pdl. Resta il fatto che nonostante la crisi economica e le difficoltà del governo il Pd e la coalizione di cui è il polo del riferimento non riescono ad allargare il perimetro dei loro consensi e a essere veramente competitivi al di fuori delle regioni dell'ex zona rossa e soprattutto nel Nord est del paese. È una vecchia storia ma sempre attuale.