Luca Zaia è il nuovo governatore del Veneto. Nulla di più prevedibile e previsto. Ma le vere chiavi di lettura di questo voto regionale sono altre: da un lato la dimensione del successo, con il 60% dei consensi raccolti ed il principale avversario, Giuseppe Bortolussi, sul quale si era raccolto l'intero centrosinistra, più che doppiato; dall'altro il sorpasso che qualcuno temeva ed altri pronosticavano su un Pdl apparso in campagna elettorale disorientato ma soprattutto diviso.
Commentava bene, a caldo, una sorta di "vecchio saggio" degli azzurri, Carlo Alberto Tesserin, forte di quattro legislature alle spalle e in corsa per la quinta: «adesso la vera sfida è governare insieme e la Lega dovrà farsi carico di mantenere coesa la coalizione e capace di rispondere alle esigenze di questo Veneto».
Nessuno si aspetta da Zaia una sorta di "Vae Victis", ma lo stesso Bortolussi, che già si è detto pronto a guidare una seria opposizione, ha affermato che il problema sarà proprio il governo della Regione. Ed ha lanciato quella che è ben più che una provocazione: «alla luce di questi risultati, con il Pdl dieci punti sotto la Lega, si apre uno spiraglio importante per un dialogo tra Pd e Pdl».
Bisognerà senza dubbio aspettare le prossime ore per capire quali 'colonnelli' azzurri siano entrati in Consiglio e con quale forza elettorale, ma la Lega, passata dal 14,05% del 2005 al 35% attuale, ha sicuramente parecchi sassolini da togliere dalla scarpe. Non si può certo parlare di sdoganamento di un partito che, solo per fare un paio di esempi, a Treviso amministra la città da tempo e che a Verona sfoggia un sindaco come Flavio Tosi, ma Zaia è pronto a conquistare spazi ben più ampi dei bacini in cui la Lega ha avuto finora mano libera dagli alleati come l'agricoltura piuttosto che il turismo e la sanità.
La Lega ha evidentemente convinto prima che vinto, cavalcando temi molto sentiti nel Veneto come l'immigrazione e la sicurezza ma avendo anche l'accortezza di non lasciare troppo spazio alle frange più folcloristiche o integraliste. Difficile dire, alla luce dei numeri raccolti, che ci sia un diffuso timore di un governo a guida leghista, facile invece sottolineare come il Pdl abbia peccato su più fronti e ne abbia poi pagato le conseguenze. Ha avuto nel governatore uscente Giancarlo Galan un promoter prima disinnescato e poi demotivato, al di là delle affermazioni di facciata. Ha subito più che altrove il peso di correnti interne con contrapposizioni molto forti e di pubblica evidenza. È mancato nel gioco di squadra. Ha pensato di andare all'incasso sulle cose fatte, soprattutto in materia di infrastrutture, piuttosto che continuare a proporre progettualità concreta. Peccati, tutto sommato, veniali ma puniti severamente dagli elettori ed in particolare da quella frangia moderata che ha scelto l'astensionismo quasi come forma di autonoma protesta.
Il nodo sul doppio incarico di ministro e governatore è stato immediatamente sciolto: Zaia ha annunciato le dimissioni dal dicastero delle Politiche agricole. Quanto ai rapporti con gli alleati, il neo governatore ha precisato da subito che non intende certo fare le paventate epurazioni e che a tutti ha sempre chiesto lealtà più che fedeltà. «Governerò con le riforme - ha detto - ed al primo punto ci sarà ovviamente il federalismo». Restano aperte divergenze con gli alleati su problemi non certo di secondo piano, dall'energia all'ambiente, ma ora è il momento della festa. La nuova partita con l'alleato di sempre, a posizioni ribaltate, è appena cominciata.
I risultati in Veneto