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Primo giorno da presidente di Obama:
colazione a casa con le figlie e jogging

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5 novembre 2008
Barack Obama, nuovo presidente degli Stati Uniti (AP Photo/Morry Gash)

Nel suo primo giorno da presidente degli Stati Uniti in pectore Barack Obama si è concesso un lusso: ha fatto colazione con le figlie, Sasha e Malia, nella sua casa di Chicago, di mercoledì mattina. E' capitato spesso negli ultimi due anni di frenetica campagna elettorale, prima contro la rivale democratica Hillary Clinton poi contro il repubblicano John McCain. Più tardi, con la tutta da ginnastica, gli occhiali da sole e il cappellino da baseball è andato a fare jogging. Ma gli ingranaggi per la transizione dei poteri tra il presidente uscente, il repubblicano George W. Bush e Obama, la sua nemesi, il suo opposto, sono già in moto. E' un processo delicatissimo, la transizione: Bill Clinton, nel 1992, sbagliò tutto, cominciando il suo primo mandato con il piede sbagliato.
Obama, molti nel suo staff lo hanno sottolineato nelle ultime settimane di campagna elettorale, era ansioso di cominciare a fare sul serio, di smettere di fare un candidato per fare il presidente. La composizione della squadra di governo sarebbe già in parte decisa e il nome del prossimo capo di gabinetto della Casa Bianca già individuato. Sarà Rahm Emanuel, deputato democratico dell'Illinois, ex collaboratore di Clinton, amico di Obama. A fine settimana ci sarà la prima conferenza stampa ma la lista dei ministri non ci sarà ancora.
Obama si è tolto la tuta e messo un vestito ma niente cravatta per incontrare il suo staff e ringraziare in una conference call gli artefici della sua storica vittoria, in centinaia di avamposti, in tutto il Paese, comprese le roccaforti repubblicane che ha espugnato, dal Colorado alla Virginia.
Oltre ad Emanuel ad occuparsi della transizione saranno John Podesta, ex capo di staff di Clinton, e due stretti collaboratori del senatore di Chicago, Valerie Jarrett e Pete Rouse. Dan Pfeiffer, il direttore delle comunicazioni della campagna elettorale, rivestirà lo stesso ruolo nella fase di transizione e Stephanie Cutter, una ex pupilla del senatore di Boston Ted Kennedy, sarà la sua portavoce.
Oggi intanto sono cominciati anche i briefing segretissimi dei vertici dell'intelligence sui pericoli che corre l'America: da oggi Obama riceverà le stesse informazioni del presidente in carica. Bush, dopo la telefonata di congratulazioni di questa notte, è tornato a parlare della vittoria "impressionante" di Obama, garantendo "piena cooperazione" nel periodo di transizione, che durerà 76 giorni, fino alla cerimonia di insediamento, il 20 gennaio del 2009.
Bush ha invitato Obama e la sua famiglia alla Casa Bianca, in visita: "Gli americani possono essere orgogliosi - ha detto - perché questa notte è stata scritta una nuova pagina di storia".
Già: ancora una volta non è Obama a parlare dell'immenso significato della sua vittoria, ma chi gli sta intorno.
Parole di stima sono arrivate anche dal segretario di Stato Condoleezza Rice, che è rimasta in disparte nel corso della campagna elettorale. E il suo predecessore, l'ex generale Colin Powell, che aveva appoggiato la candidatura di Obama, in una intervista alla Cnn da Hong Kong ha confessato di essere scoppiato in un pianto di gioia quando è stata annunciata la vittoria.
Una vittoria schiacciante, che sposta gli equilibri politici dell'America, spaccata in due metà quasi uguali e inconciliabili sia nel 2000 che nel 2004. Obama ha vinto (ma lo scrutinio non è ancora finito) con il 52,3 per cento dei voti contro il 46,4 per cento di McCain. Obama ha vinto dove nessun democratico l'aveva spuntata dal 1964, l'anno di Lyndon Johnson, spinto dall'onda emotiva dell'assassinio di Jfk. Ha strappato ai repubblicani la Virginia, l'Indiana, ha stravinto in Iowa, conquistato il Colorado e i grandi Stati dell'Ovest come il Nevada e il New Mexico, conquistando l'elettorato ispanico che quattro anni fa si era avvicinato ai repubblicani. Ha vinto gli Stati incerti per antonomasia, l'Ohio e la Florida, conquistando roccaforti repubblicane come Tampa e Orlando, o Cincinnati. Persino negli Stati che ha perso, dal Kentucky al Texas, alla Georgia, Obama è andato fortissimo. Prima di lui solo Ronald Reagan era riuscito a mescolare allo stesso modo le carte politiche dell'America, a stravolgere gli equilibri tra i partiti.
Sull'altro fronte, quello repubblicano, le recriminazioni sono cominciate come sempre accade: con la promessa di non fare recriminazioni. Su tutti quella della ex candidata alla vice presidenza, la governatrice dell'Alaska Sarah Palin, la debuttante della politica che molti repubblicani considerano la seconda ragione della batosta elettorale. La prima? "It's the economy, stupid".

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