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La vera sfida di Obama, regolare i mercati senza strozzarli

di Mario Margiocco

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6 novembre 2008
(Afp)

Per un leader della comunità nera di Chicago emerso dalla politica etnica facendo propria la ricca - e non ignobile - tradizione del populismo americano, il nuovo presidente degli Stati Uniti avrà un compito singolare: riscrivere le regole di Wall Street, e salvare i mercati, senza strangolarli come senz'altro qualcuno dei deputati del nuovo Congresso democartico gli chiederà di fare.
Paradossalmente, Barack Obama deve molto a Wall Street. La sua candidatura ha fatto un balzo e si è affermata, dopo un'estate di un'incredibile testa a testa con John McCain in una stagione che avrebbe dovuto essere fin dall'inizio tutta democratica, solo tra il 17 e il 24 settembre. Tra il fallimento di Lehman Brothers cioè più la nazionalizzazione di Aig (14-17 settembre) e l'avvio del piano di salvataggio da 700 miliardi (Tarp), con la riunione alla Casa Bianca e il tentativo di McCain di porsi, inutilmente, come mediatore tra l'esecutivo e i repubblicani ribelli del Congresso.
Per capire come si muoverà Obama, c'è una bussola: farà l'opposto di quanto teorizzato e praticato da Alan Greenspan, che ebbe grande fiducia nei nuovi strumenti finanziari, nell'autocontrollo da parte delle banche d'investimenti che li maneggiavano più di chiunque altro, nella capacità del mercato di mantenere l'equilibrio tra dare e avere. Quindi, pesante supervisione dei nuovi strumenti finanziari, regole di garanzia ferree, controlli diretti della mano pubblica che sostituiscono qualsiasi forma di autocontrollo, regole rigide per i capital ratio, le riserve e tutte le forme di garanzia. Per il Presidente Obama "c'è tutto sul tavolo - dice William Donovan, partner di uno studio legale di Washington ed ex dirigente della National association of federal credit unions -. Riesame della struttura federale di regolamentazione dei servizi finanziari, consolidamento dei tipi di statuto, regole pià rigida sulla liquidità e il capitale, riforma della bancarotta e del regime delle carte di credito".
Non sono tempi facili per chi arriva alla Casa Bianca, con forti necessità di spesa, un ruolo del dollaro che potrebbe riservare sorprese negative sul medio periodo, e l'urgenza di salvare Wall Street dopo una campagna elettorale tutta puntata alla promessa di salvare Main Street. I due salvataggi sono collegati, certamente. Ma potrebbe non essere facile spiegarlo a una parte dell'elettorato che vuole vedere punizioni esemplari, e sovvenzioni robuste per Main Street.
Negli ultimi tre mesi dell'anno la raccolta di capitali da parte del Tesoro potrebbe raggiungere la cifra record di 550 miliardi di dollari, necessari per finanziare parte del massiccio piano di salvataggio finanziario.E nel primo trimestre 2009 dovrebbero aggiungersi, secondo gli esperti, alri 368 miliardi.
Secondo il Committee for a responsible budget, un centro bipartisan, il totale delle somme impegnate da Washington, Federal reserve e Tesoro, per il salvataggio del sistema finanziario e dell'economia, a partire dai 168 miliardi del piano di stimolo lanciato nei primi mesi del 2008, raggiunge la ragguardevole cifra di 2,6 mila miliardi. Il costo finale dovrebbe essere comunque sensibilmente inferiore, perché la cifra comprende anche prestiti emessi dalla Federal reserve a favore delle banche e che dovrebbero essere ripagati.
Per ora è impossibile dire quale Obama affronterà il dossier finanziario, il più urgente e spinoso. Se Obama il populista, l'amico del sindacato che ha appoggiato senza riserve la sua candidatura e che si aspetta norme meno rigide sulla propria presenza nei posti di lavoro. O Obama l'efficiente e abile manager di una campagna elettorale tra le meglio condotte degli ultimi decenni. I mercati vanno regolati, anche severamente, non strozzati. Non c'è dubbio che la voglia di punirli severamente verrà con forza dal Congresso. Solo a quel punto si scoprirà il vero Obama.

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