Le elezioni gelano Wall Street: gli investitori, alla vigilia dell'apertura delle urne,non hanno scoperto le loro carte, rimanendo in attesa di un risultato che emergerà soltanto nelle prossime ore. Le oscillazioni, in un mercato abituato di recente a salire e cadere di centinaia di punti in pochi minuti, sono state minime: l'indice Dow Jones al termine degli scambi è arretrato dello 0,06%, il Nasdaq ha strappato un guadagno dello 0,3% e lo Standard & Poor's 500 ha ceduto lo 0,25 per cento.
«Con le elezioni in arrivo ha dichiarato Stephen Massocca, della Pacific Growth Equities - il mercato è dominato dalla cautela invece che dalle scommesse ». La ricerca è stata anzitutto quella di titoli rifugio, più stabili: «Gli investitori vogliono tenersi al riparo da nuove scosse, anche se non è facile», ha aggiunto Robert Lutts, di Cabot Money Management.
In mancanza di certezze elettorali, la Borsa è stata invitata alla prudenza anche da nuovi segnali di crisi economica, che sarà ereditata dal prossimo presidente. L'indice manifatturiero dell'Institute for Supply Management è scivolato in ottobre al livello più basso in 26 anni: 38,9 da 43,5. Il dato è stato inferiore alle attese, pari a 41,5, e allontanandosi da quota 50 ha denunciato una brusca contrazione dell'attività. Nel 1982, quando l'indicatore cadde aldi sotto della soglia odierna, il Paese era alle prese con una recessione. E un sondaggio della National Association of Business Economists ha trovato che la maggioranza degli economisti teme che una nuova recessione possa proseguire per l'intero 2009.
Altre statistiche sono state poco incoraggianti: la spesa per costruzioni è diminuita dello 0,3% in settembre (pur se meno dello 0,8% pronosticato). Le vendite di auto, danneggiate dalla crisi del credito, hanno sofferto rovesci il mese scorso: General Motors ha registrato declini del 45% e Ford del 30 per cento. Complessivamente le vendite del settore potrebbero essere scivolate ai minimi degli ultimi 25 anni. E famiglie e aziende hanno dichiarato lo stato di crisi in numeri record: ben 108.595 hanno chiesto protezione dai creditori in ottobre, la cifra più alta dal 2005 quando la legge fu resa più restrittiva. Venerdì, inoltre, la Borsa aspetta al varco un resoconto negativo sull'occupazione: nell'ultimo mese potrebbero essere stati eliminati 200mila posti di lavoro.
La crisi ha ormai eroso i bilanci di molte aziende quotate: le società nello S& P 500 stanno riportando il quinto trimestre consecutivo di profitti in declino. «È difficile presagire quanto sarà lunga e profonda la recessione», ha ammonito Matthew DiFilippo della Stewart Capital Advisors. Le Borse, oltretutto, sono reduci da dure perdite in ottobre: 9.500 miliardi di dollari bruciati su scala globale.
Gli investitori, nel clima di tensione, interrogano anche i precedenti storici per indovinare la reazione del mercato all'esito delle urne. Dal 1900 in poi, il primo anno di un presidente democratico è stato accompagnato da guadagni migliori rispetto ai dodici mesi iniziali di un repubblicano. Ma con due infuenti eccezioni: il Dow Jones cadde con Woodrow Wilson nel 1912 e con Jimmy Carter nel 1976. I due presidenti più noti che hanno fatto i conti con tempi difficili, ha inoltre ricordato il Wall Street Journal, sono il repubblicano Ronald Reagan e il democratico Franklin Delano Roosevelt: il Dow ha perso leggermente quota nel primo anno di Reagan, mentre si è impennato con Roosevelt. Ma durante le loro intere presidenze, in un segno forse di buon auspicio per il mercato chiunque sia stato eletto alla Casa Bianca, il mercato ha marciato al rialzo.
M.Val.
