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Ghiaccio o non ghiaccio?

di Gigi Donelli

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Una Grande nevicata a inizio anno, l'inverno che fa il suo mestiere nei giorni più corti dell'anno, un articolo pubblicato a San Silvestro negli Stati Uniti che viene catturato dall'effetto farfalla e diventa un titolone: «Il ghiaccio al Polo ha smesso di ridursi, lo dicono gli americani».
Inutile, o quasi, la smentita degli "americani" (prof. William Chapman) poichè soprattutto qui in Italia il tema del global warming ha la miccia corta. Accanto a una maggioranza scientifica che sostiene un atteggiamento di allerta sui fenomeni climatici - ma non di allarmismo - c'è chi vede la catastrofe dietro l'angolo e chi invece ricorre allo scetticismo ideologico per svuotare qualsiasi evidenza. Già schierata tra Guelfi e Ghibellini, tra Coppi e Bartali o tra Mazzola e Rivera, l'Italia 2009 dibatte la realtà del riscaldamento e si scontra sulla sua origine antropica. A far rumore sono come sempre gli estremi, di chi lega ogni cambiamento all'attività antropica, e l'associa direttamente al clima spingendosi fino a condannare la modernità, e chi invece è certo che alla fine Madre natura ci metterà sempre una pezza, qualsiasi violenza saremo capaci di farle.

L'inverno nell'Artico
Premesso che a inchiodarci in tangenziale sotto una "intensa nevicata" è il tempo meteorologico, mentre il clima è una sequenza statistica su una serie lunga di periodi equivalenti, è senz'altro vero che il ghiaccio polare si offre come una sorta di formidabile termometro dello stato climatico generale. Con un'estensione che va da 15 a 5 milioni di kmq tra il massimo di inizio aprile e il minimo di metà settembre e con forti variazioni di anno in anno, il ghiaccio di mare nell'emisfero settentrionale è in continua trasformazione e, per quanto gli specialisti ci avvertano che salinità, vento e variazioni stagionali delle correnti oceaniche concorrano con altri fattori a cambiare ogni volta lo scenario teorico, il pack che si forma nell'emisfero boreale dall'autunno ai primi giorni della primavera è da trent'anni (osservazione satellitare) l'espressione più immediata del freddo che avanza o si ritira. La banchisa è anche un formidabile registro del clima recente: non solo ghiaccia la superficie dell'Oceano salato con la stessa dinamica della bottiglia dimenticata in un freezer, ma si costruisce anno dopo anno lungo una scala di durezza che cresce quando sul ghiaccio dell'anno precedente si stende uno strato nuovo. Il fatto che in pieno inverno l'estensione superficiale del ghiaccio si espanda rapidamente non significa dunque molto; non ci dice nulla sulla sua durezza e sulla persistenza che è invece legata alla presenza di ghiaccio pluriennale (strati di 2-5 o 7 anni), un dato che i satelliti di nuova generazione sono ormai in grado di leggere sotto quall'apparente uniformità di bianco fotograta nel campo dell'ottico.

Una notizia scivolosa
L'ultima puntata della polemica italiana su "riscaldamento si o no" ha preso spunto dalla notizia pubblicata il primo gennaio dalla rivista americana DailyTech. Citando il Centro di ricerca sul clima dell'Università dell'Illinois, l'autore del servizio Michael Asher affermava che il ghiaccio artico nei giorni di Capodanno era in condizioni analoghe a quelle del 1979. La notizia non ha retto le verifiche: i primi a prendere le distanze sono stati proprio i ricercatori citati come fonte. In particolare William L. Chapman, 44enne ricercatore al dipartimento di scienze atmosferiche dell'Università dell'Illinois citato da Asher che dopo le moltissime richieste di chiarimento ricevute, ha diffuso un comunicato di smentita che qui riportiamo integralmente. Insomma, incomprensione o forzatura che sia, Chapman spiega nella nota ufficiale apparsa sul "Cryosphere Today" che i ghiacci artici avrebbero perso un milione di km2 nel periodo considerato, mentre quelli antartici sarebbero aumentati della metà. Un bilancio che non spiegherebbe in nessun caso la comparazione tra il 1979 e il 2008 e che dunque non può essere considerato un elemento di "stabilizzazione " climatica.

Il "caldo" anno 2008
Pur restando ai margini del dibattito tra specialisti, è bene segnalare un'altra informazione che si presta a fare titolo. Arriva dal Goddard Institute della Nasa e ci racconta che, dai dati sull'andamento termico del 2008, risulta che l'anno che ci siamo appena lasciate alle spalle è stato il più freddo dal 2001. Viene così confermato il rallentamento del global warming cominciato nel dicembre 2007. Alla stessa conclusione sono arrivati anche il NOAA, l'Hadley Center del ministero della difesa britannico e la Word Meteorological Organizations (WMO). I principali artefici di questo risultato, per certi versi sorprendente, sono considerati la Nina e il prolungato minimo solare. Ma cosa rappresenta questo rallentamento del riscaldamento globale? Un cambio di rotta o solo una momentanea defaillance dei modelli più accreditati? Almeno per ora nulla, poichè la stessa Nasa aggiunge che il 2008 si assicura comunque il 9° posto assoluto tra gli anni più caldi dal 1880 a oggi e che tutti e 10 gli anni più caldi tra gli ultimi 127 considerati sono raccolti dal 1997 in poi. Secondo i più blasonati enti di ricerca si potrebbe trattare di un fatto episodico e contingente, destinato a durare al massimo un altro anno. A detta del britannico Hadley Center il 2009 entrerà con molta probabilità tra i 5 più caldi di sempre, mentre la NASA prevede addirittura che uno dei prossimi 2 anni registrerà un'anomalia positiva da record. Sarà davvero così? Se l'andamento termico dei prossimi anni rispetterà le proiezioni dei vari centri, allora avremo accumulato prove a sostegno dai trend suggeriti dall'IPCC dell'Onu. Se invece il sistema terra saprà reagire riducendo ulteriormente il global warming, allora potremo cominciare a pensare che il nostro ruolo di fronte alle grandi mutazioni sia in primo luogo quello degli spettatori. Intanto, che il dibattito continui.

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