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A meno 60 sulla banchisa per monitorare l'inquinamento del pianeta

di Guido Romeo

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20 marzo 2008

Misurare temperature, concentrazioni di gas e inquinanti e raccogliere microrganismi marini mentre si va alla deriva su una lastra di ghiaccio, con temperature che toccano i -60°C e raffiche di vento a quaranta nodi, può sembrare un esercizio di sopravvivenza, ma è qui che si gioca una delle partite più importanti per capire il clima del nostro Pianeta.
«L'Artico d'inverno? È dove trovi le condizioni più estreme, quasi come la Luna» mi aveva avvertito un ricercatore mentre, un mese fa, mi preparavo a raggiungere per 15 giorni il rompighiaccio Amundsen della Guardia Costiera canadese, con lo scopo di seguire da vicino la missione Cfl (Circumpolar flow lead), il più grande progetto dell'anno polare internazionale, finanziato con 40 milioni di dollari dal Governo di Ottawa. Il vero significato di "estremo" l'ho capito solo una volta atterrato sulla banchisa, in mezzo al mare di Beaufort. Anche le dotazioni e i costi sono altrettanto speciali. Ognuna delle 80 persone – per metà ricercatori e per l'altra metà dell'equipaggio – costa al progetto, a bordo di questa nave di 98 metri, circa mille dollari al giorno, senza contare i fondi per la ricerca.
«È una missione senza precedenti, perché questa è la prima volta, a entrambi i Poli, che una missione scientifica sverna in navigazione nelle acque aperte – spiega David Barber dell'Università di Manitoba a Winnipeg, ideatore del progetto e responsabile nazionale della ricerca artica canadese – e rappresenta un'occasione unica per osservare la biologia e la fisica di questa regione». Lo scorso settembre la superficie della banchisa artica ha raggiunto il suo minimo storico, tre milioni di chilometri quadrati, registrando una perdita di oltre il 50% rispetto ai 7,5 milioni di km quadrati che erano la media prima del 2000. L'area in cui si trova l'Amundsen, caratterizzata da un ghiaccio molto sottile e attraversata da molte fessure nella banchisa (cosiddetti "leads") già ora alla fine dell'inverno, è perciò estremamente interessante per i ricercatori. In queste settimane di transizione verso la primavera, la luce aumenta e i microrganismi si preparano a rilanciare la fotosintesi, masse di acqua più calda e ricca di nutrienti affiorano in superficie. «In questo sistema la CO2 si comporta come l'alcool in certe birre tedesche, raffreddate per aumentarne la concentrazione – osserva, nel suo piccolo laboratorio alla poppa dell'Amundsen, Helmut Thomas, originario di Colonia e ora ricercatore alla Dalhousie University di Halifax – perché d'inverno, con il raffreddarsi dell'Oceano aumenta la concentrazione di CO2 nell'acqua e forse il rilascio in atmosfera, mentre d'estate i microrganismi la fissano in nutrienti e l'Oceano ne assorbe di più dall'atmosfera».
Un passaggio importante, perché l'Oceano artico potrebbe contribuire ad aumentare e ridurre, a seconda delle stagioni, la concentrazione di gas a effetto serra nell'atmosfera. «Con la progressiva perdita di ghiaccio nel l'emisfero settentrionale, ci aspettiamo di vedere sempre più aree di questo genere – osserva Barber – per questo Cfl le sta utilizzando come modello dell'Artico in un clima più caldo». Gli scenari elaborati dell'Ipcc, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, sono molto conservativi e stimano che l'Artico potrebbe diventare libero dai ghiacci durante l'estate tra il 2050 e il 2100, ma le osservazioni di Barber e colleghi prospettano queste condizioni già per il 2013-2030 grazie a modelli regionali più accurati che operano già in tempo reale.
«La differenza è importante – osserva Ralf Staebler, un climatologo del Ministero dell'ambiente canadese, che sull'Amundsen sta mettendo a punto una slitta per rilevazioni a distanza – perché un Oceano artico libero dai ghiacci non riflette più la luce e si crea un meccanismo di feedback che riscalda ancora di più l'acqua». Capire come funzionano questi circuiti alla base del nostro clima è la sfida che si gioca sulla banchisa ogni giorno, e spesso ogni notte, perché i turni di prelievi spesso durano tutte le 24 ore. Le regioni Polari sono ingranaggi fondamentali di quel complesso nastro trasportatore che è la circolazione termoialina che dipende da temperatura e salinità delle acque e che regola il clima del nostro Pianeta attraverso fenomeni come la corrente del Golfo. Con migliaia di chilometri quadrati di territorio nella regione artica il Canada è in prima linea nella ricerca polare e due anni fa ha stanziato 150 milioni di dollari per la rete ArcticNet. Sul campo, anzi, sul ghiaccio, il rigore scientifico deve però combinarsi con inventiva e creatività.
Quando il proprio laboratorio è lontano migliaia di chilometri e i collegamenti aerei arrivano ogni due o tre settimane uno scienziato deve saper improvvisare come un jazzista, per non vedere sfumare mesi di preparazione di fronte a un computer che non parte o un pezzo mancante. Le notti in bianco per calibrare strumenti o in officina a forgiare pezzi mancanti sono messa in conto da tutti i ricercatori, ma non mancano le soddisfazioni e, per molti giovani l'occasione di infilare un "paper" in una rivista importante.
«Negli ultimi giorni abbiamo osservato un rilascio di CO2 dall'Oceano attraverso il ghiaccio, finora descritto solo al Polo Sud», spiega Brent Else, dottorando presso l'Università di Calgary che insieme al coetaneo Fréderic Brabant, dell'Università di Lovanio, in Belgio si è spinto sul ghiaccio appena formato per raccogliere dati. Un'incisione su una lastra troppo sottile è costata a Brabant, per fortuna in muta stagna, un bagno nell'acqua a -2°C e la perdita di uno strumento da 5mila dollari. «Per i giovani è una grande occasione per raccogliere dati di prima qualità e completare rapidamente il proprio dottorato e avere un quadro più completo e interdisciplinare della ricerca sul clima – osserva Else – ma soprattutto, è sempre una grande avventura».

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