È Ferragosto, o quasi, quarantotto anni fa. Due mesi prima, il 15 giugno 1961, Walter Ulbricht, il "prussiano rosso" di Pankow, aveva detto: "Niente muro. I nostri muratori costruiscono solo case". Il 13 agosto, mezz'ora dopo la mezzanotte, il muro di Berlino è eretto, sinistro e medioevale, a ricordare che, dopo il patto Molotov-Ribbentrop, le forche di Praga e i carri armati di Budapest, Mosca non ha perso il gusto amaro del colpo di scena. Il comunicato Ansa è laconico: "Il confine tra Berlino est e Berlino ovest è stato chiuso questa notte.... Autocarri carichi di truppe della Rdt sono stati visti prendere popsizione lungo la linea di confine pres so la Porta di Brandeburgo". Il cinismo sovietico, quello che aveva indotto Stalin a interrogarsi su quanti divisioni avesse il Papa, questa volta ha ceduto al tarlo della paura: la paura della caduta di immagine di una Germania est con il confine bucato e la paura della Germania unita, quei tedeschi che lasciano l'Est, grigio e povero, per rincorrere l'Ovest, le sue luci, le sue vetrine. Scriverà Viktor Suvorov nell'"Ombra della vittoria": "L'obiettivo del muro era evitare che il popolo della Germania socialista potesse scappare nel mondo normale".
La grande fuga
Dall'1 al 10 agosto sono fuggite 25 mila persone, il 12 agosto 4mila. "L'uomo è il capitale più prezioso", aveva detto un giorno Stalin. La Germania est lo sta perdendo. E Kruscev, contadino sanguigno, furbo e diffidente, colpisce, con tre chilometri di cemento e cavalli di frisia a volontà, domenica 13, nel più lungo week-end dell'anno, con gli europei in Versilia o a Saint Tropez, gli americani a Miami o a Santa Barbara e i berlinesi, a bocca aperta, a guardare il muro che sorge come una frontiera di cemento e i vopos, con i mitra corti color metallo sporco, che fanno una guardia marziale.
Kennedy
JFK non reagisce perchè non può reagire. "Vogliono farci una paura matta - dice - ma noi non ce la faremo addosso". Il muro di Berlino, quella ferita aperta in Germania, viene a due anni dall'U-2 di Gary Powers, a pochi mesi dalla Baia dei Porci, il Vietnam sta montando, De Gaulle è ancora insabbiato in Algeria: l'Occidente ha i suoi scheletri nell'armadio e i suoi incubi notturni. E poi Kruscev è abile, sa spaventare e sedurre, sorridere e giocare pesante, come, senza scomporsi, giocheranno sporco i suoi successori a Praga, in Angola, a Varsavia, a Kabul.
Ventotto anni dopo
Passa un pezzo di Novecento e arriva il 1989. Se vogliamo ricordare il passato dai simboli, l'emblema dell'89 è la notte magica e libertaria del 9 novembre, con il muro che cade e i berlinesi dell'Est che frugano l'Ovest, una città sommersa da una massa umana fatta di colori, emozioni, curiosità, frenesie, rivincite. Berlino città aperta, immagini da mozzare il fiato, la disintegrazione della "Prussia rossa", le tavole di Yalta fatte a pezzi, sudditi che ritornano cittadini, la Storia che espugna il comunismo come una patetica Bastiglia e brucia i fantasmi del passato: le fughe tra le scariche dei mitra dei Vopos, i duecento coraggiosi rimasti sulla striscia della morte, gli "Achtung" scritti e urlati, i graffiti sulle facciate del muro, le atmosfere malinconiche e ambigue della città di Fassbinder. Il comunismo muore di comunismo, i 1989 mattoni cadono da soli. Il muro si accartoccia su se stesso come una tavola di pergamena. E sulla sua tomba di fantasia una mano berlinese scrive: "1961-1989, nacque, si bagnò di sangue, morì".
