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Proteste e piazze virtuali: il movimento verde e i social network

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22 luglio 2009

Se ogni Rivoluzione ha avuto bisogno di simboli che uniformassero la mobilitazione sociale e di mezzi di scambio delle informazioni che servissero a coordinare il movimento rivoluzionario stesso, nel presente i blog e i social network hanno dimostrato di essere in grado di svolgere una funzione parallela a quella tradizionale della piazza, anche nella creazione di simboli rivoluzionari e di protesta, soprattutto laddove un controllo del governo limita i poteri di azione nello spazio pubblico, come nel caso dell'Iran. Il social network si presenta così come un potenziale luogo di organizzazione della protesta, pur con delle profonde lacune ed elementi disgreganti.

Il 14 giugno scorso nella città di Mashad, nel nord-est dell'Iran, sapevamo che ci sarebbe stata una grossa manifestazione di protesta per il risultato elettorale nel Park-e- melli. Così, armati di macchina fotografica e braccialetto verde, ci siamo immersi nelle strade trafficate della città e siamo arrivati al parco pieni di speranza ed eccitazione, consapevoli del fatto che la nostra presenza lì non era altro che un'ulteriore tappa obbligatoria verso un non ben definito ed auspicato cambiamento in Iran.
Giunti alla mèta però qualcosa pareva strano: innanzitutto c'era una fiumana di gente, ma sparpagliata, scoordinata, come se fosse lì per caso, non per fare una manifestazione, o, come la chiamavamo noi, "la rivoluzione". C'erano famiglie che portavano i bambini al parco, coppie, anziani, e poi giovani con la maglietta nera, quella che avrebbe caratterizzato i manifestanti in quanto tali.

Il fatto che il parco fosse circondato dalla polizia e che qualcuno ci abbia detto di nascondere la macchina fotografica nello zaino costituiva l' unico indizio per noi che in quel luogo e più o meno a quell'ora ci sarebbe probabilmente stata la manifestazione. Aspettammo a lungo, ma niente. Nessuna protesta, niente slogan, solo un parco affollato. Così, delusi, tornammo a casa.
Il mistero della manifestazione mancata è svelato dall'opera di Facebook. La folla riunita al parc-e-melli, o almeno una parte di quella folla, aveva saputo dell'appuntamento tramite il noto social network, così come ne era stata informata anche la polizia. Tuttavia da un lato la mancanza di un coordinamento politico o della presenza di un gruppo che si mettesse a capo della protesta, e dall'altro la presenza massiccia di organi di controllo del governo, hanno scoraggiato i potenziali manifestanti che si trovavano in un luogo e in un tempo che, oltretutto, avrebbero condiviso con altri iraniani: quelli che della manifestazione non sapevano nulla perché facebook non ce l'avevano.
Da quel giorno facebook e twitter sono diventati gli strumenti da noi più utilizzati per capire quello che succedeva in giro per l'Iran, sia per tenere il contatto con gli amici, soprattutto studenti residenti in altre città, sia per tenere lo sguardo vigile sulla capitale. Ma da questa piazza virtuale, dove si pratica una sorta di passa parola con l'inoltro e il copia/incolla, ci sono i grandi esclusi, cioè chi in Iran non ha accesso a internet , cioè quasi il 70% della popolazione (circa 50 milioni di persone). In più la piazza virtuale ha un grande limite: quello di non essere una fonte sempre attendibile, né controllabile del punto di vista della veridicità di ciò che va diffondendo.

Nonostante questo, la piazza virtuale è da subito apparsa come uno strumento potentissimo per l'organizzazione della protesta, tanto che diverse volte e per diversi periodi dopo le elezioni è stata oscurata. Anche allora i più esperti del cyber spazio hanno trovato e poi diffuso il modo di aggirare il filtro della repubblica islamica su internet, e, in caso di non riuscita, hanno prontamente sostituito il social network con l'sms. Così arrivavano i messaggi sul telefonino con luogo e ora delle manifestazioni, mentre il movimento verde, sempre tramite facebook e twitter non smetteva di fare sentire la sua voce. Come? Dall'altra parte del mondo, laddove non era oscurato.
Così, se il social network rappresenta da un lato una piazza viva, transnazionale e potenzialmente rivoluzionaria, la sua indefinitezza lo indebolisce: chi è connesso, quando, da dove, sono aspetti indefiniti e fuorvianti, difficili da trasformare in un vero e proprio strumento di mobilitazione di massa.
Se si pensa alla rivoluzione iraniana del 1979, la mobilitazione era maturata con intense attività politiche clandestine già molti anni prima delle manifestazioni stesse: dalla metà degli anni Settanta circolavano nel Paese audiocassette incise con i sermoni dell'ayatollah Khomeini, che gran parte degli iraniani si scambiava di nascosto. L'ideologia politica di protesta si era sedimentata lentamente e poggiava su teorie geo-politiche e filosofiche maturate in anni di riflessioni e militanza. In ultimo, la religione islamica sciita e i suoi rinnovati simboli avevano avuto il potere di mobilitare gli strati più tradizionalisti e religiosi del Paese.
Così il social network appare ancora uno strumento debole per l'organizzazione di una vera e propria protesta sociale organizzata, anche se per certi aspetti ha assunto le caratteristiche di scambio e di costruzione delle identità tipiche della piazza, quella reale.

22 luglio 2009
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