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Il business c'è, ma il lavoro manca

di Martino Pillitteri

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17 settembre 2009

Ci sono i soldi per gli investimenti, ma non per gli stipendi di chi non è affiliato al potere. Sono anomalie e contraddizioni del sistema arabo di cui c'è traccia solo nella fiction letteraria.

Secondo " Doing Business", la classifica dei paesi più competitivi e attraenti per gli investimenti stilata annualmente dalla World Bank, alcuni paesi arabi hanno scalato posizioni e si sono piazzati tra le prime venti economie ideali per attrarre investimenti dall'estero. Richiameranno pure dollari ed euro, tuttavia non sono in grado di trattenere i loro talenti. Infatti, anche se l'Arabia Saudita occupa la tredicesima posizione nella classifica Doing Business, il Bahrein è in ventesima posizione e l'Egitto è ultimamente descritto dalla stampa internazionale come uno dei paesi più intraprendenti nel campo delle riforme economiche, i nei laureati delle università arabe in materie strategiche per l'innovazione come quelle scientifiche e tecnologiche, cercano fortuna all'estero.

La diaspora di risorse umane arabe e‘ stata rilevata da uno studio curato da TalentRepublic.net, un portale specializzato nel reclutamento on line di talenti arabi e di espatriati che ambiscono tornare in Medio Oriente. Secondo l'analisi del sito, circa 70 mila laureati arabi all'anno migrano in cerca di lavoro all'estero. A trasferirsi in America, Europa e Canada sono soprattutto scienziati, medici e ingegneri. Il 54% decide di non tornare. Mentre, con il 74%, quella degli scienziati è la categoria con il tasso più alto di no return. Secondo il dipartimento di politiche migratorie della Lega Araba, questo esodo umano costa agli stati arabi circa un miliardo e mezzo di dollari all'anno. E se da una parte c'è qualcuno che ci perde, dall'altra c'è qualcun altro che ci guadagna. In base ai dati dell'Arab American Insitute, una tipica famiglia Arab American guadagna circa 47 mila dollari all'anno mentre una tipica famiglia americana ne porta a casa 42 mila. L'88% dei professionisti arabi emigrati in America e naturalizzati americani lavora nel settore privato e un terzo di essi arriva a guadagnare anche 75mila dollari all'anno.

Il mondo arabo è caratterizzato da un tasso di disoccupazione complessivo del 14,4%. Secondo la World Bank, le economie arabe devono creare circa 55 milioni di posti di lavoro entro il 2020 per accomodare l'entrata nel lavoro dei nuovi talenti che si diplomeranno nelle università. Quali strategie stanno adottando i governi arabi per favorire il contro esodo di talenti? Secondo la versione politically correct di TalentRepublic.net, i governi arabi dovrebbero puntare su sgravi fiscali, sulla garanzia di una pensione decente, di copertura sanitaria, sullo sviluppo delle infrastrutture, e garantire stabilità politica. Invece secondo la versione economica liberista, i talenti arabi che vivono all'estero possono servire allo sviluppo dei loro paesi di origine pur rimanendo dove sono. Le reti oggi, sono più importanti delle nazioni. I talenti arabi che lavorano all'estero sono benissimo in grado di superare i confini nazionali.

Il loro valore aggiunto nei confronti dei paesi di origine, non è quello di mandare rimesse in Libano o in Marocco, bensì quello di incoraggiare l'innovazione tra i loro amici e colleghi rimasti in patria, di esportare un linguaggio e una mentalità adatti ad un ambiente che possa mettere in discussione lo status quo, che favorisca il rischio e le sperimentazioni, e di esigere good governance da parte degli establishment in cambio di know how, di capitale umano e la capacità di creare lavoro e reddito. Secondo la versione di Ala-Al Aswani, il romanziere egiziano diventato famoso nel mondo con il romanzo "Il Palazzo Yacoubian ", l'importante è che questi professionisti non si "arabizzino" troppo in casa d'altri. Come si evince nel suggestivo libro "Chicago", un romanzo sulle storie incrociate di una comunità di borsisti e di professori egiziani approdati all'università di medicina di Chicago, (istituzione nella quale sono riusciti ha ricreare una piccola Little Egypt), una parte di immigrati esporta in America le istanze personali a metà tra la libertà e la sottomissione al potere, tra ciò che è proibito e quello che è lecito; ma anche sentimenti patriottici, il rispetto dei precetti religiosi e l'aspirazione a una vita più libera e per certi aspetti libertina.

Tuttavia, i personaggi di Chicago non sembrano in grado di svincolarsi dalle influenze sociali, culturali e religiose. Esattamente come succede nei paesi di origine. A differenza dei report della World Bank e dei siti di consulenza, che per via del legame con i regimi politici arabi non osano smuovere le acque più tanto, nè favorire quel necessario cambiamento di mobilità sociale, economica e politica che il mondo arabo avrebbe tanto bisogno, l'ambientazione all'estero dei personaggi in romanzi come" Chicago" offre l'occasione di trattare con maggiore spregiudicatezza le contraddizioni e il conflitto interiore fra le aspirazioni di modernità e il forte imprinting sociale e religioso e di far comprendere meglio le dinamiche e i motivi che spingono tanti giovani arabi a cercar fortuna all'estero. La verità è nel " cuore" dell'artista ancor più che nei report della World Bank.

17 settembre 2009
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