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ll ritorno della Gamaeia nei paesi arabi

di Federica Zoja

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03 giugno 2008

"È stata mia madre a registrarmi in una gamaeia, si preoccupava per me perché non ero in grado di risparmiare, ogni mese spendevo tutto". A parlare così è un'amica egiziana spendacciona, incapace di versare su un conto corrente, a cadenza regolare, una somma seppur contenuta di denaro. Poi, l'ingresso in una piccola comunità di risparmiatori - nel suo caso i colleghi di lavoro, ma avrebbero potuto essere anche vicini di casa, parenti, soci di un club ricreativo e altro ancora – e la lenta ma efficace conversione alla parsimonia. Ecco come funziona una forma di risparmio tradizionale in Egitto e non soltanto.

I membri di una gamaeia – letteralmente, società – versano ogni mese una somma prestabilita di denaro, che confluisce in una cassa comune. A turno, I soldi sono custoditi da uno degli iscritti, che può disporne come vuole: c'è chi utilizza il fondo per comprare un'automobile, altri ancora per aiutare un figlio a sposarsi oppure per far fronte a impreviste spese mediche.
Con il vantaggio di non dover restituire un prestito ad una banca, che chiederebbe inevitabilmente gli interessi. E di non lasciare, passando di mano in mano, nessuna percentuale del totale. La quantità di denaro rimane invariata.
Ma ci sono anche alcuni svantaggi – qualcuno potrebbe dire – come quello di non vedere mai lievitare il fondo: in proposito, va sottolineato che la tradizione della gamaeia si è sposata con la cultura islamica, che rifugge da qualsiasi forma di maturazione degli interessi o di speculazione finanziaria.

Così strutturato, il metodo di risparmio informale favorisce il senso di appartenenza ad una comunità – le cui dimensioni sono variabili, così come il numero di ‘quote' con cui ciascun membro partecipa al gruppo – la capacità di progettare la propria vita quotidiana e futura, il senso di responsabilità nei confronti degli altri compagni.
Non a caso, numerose ong attive in Egitto abbinano progetti di microcredito al prestito tradizionale: i beneficiari non si sentono soli nel rifondere il fondo concesso per avviare progetti lavorativi e riescono più facilmente a rispettare le scadenze.
Ma l'Egitto non è l'unico paese a conservare il cosiddetto ‘informal financing' o ‘person to person lending'. Ecco un rapido excursus internazionale: in Etiopia la gamaeia si chiama ekub, in Kenya mabati, in Madagascar fokontany, in Tanzania fongongo. E cambiando continente, modalità simili di risparmio sono diffuse in Cina, Vietnam, Corea, India, Giappone, e ricorrono fin dai tempi antichi anche in Bolivia, Brasile, Messico e alle Bahamas.

Quanto alle origini delle comunità di risparmiatori parsimoniosi, tutto fa pensare che anche in questo caso i cinesi abbiano avuto la scintilla iniziale, nel 300 d.C. (circa 1400 anni prima della nascita della prima banca nazionale, in Svezia, ndr), con l'avvio di un sistema di prestiti di denaro fra individui o gruppi di persone, in modo diretto senza l'intermediazione di terzi.
Ora, 1700 anni dopo, alla luce della presente crisi del sistema bancario moderno non è detto che quei metodi considerati da molti naïf non siano destinati a tornare in auge anche nel mondo occidentale. Sempre che i risparmiatori abbiano ancora qualcosa da mettere da parte.

03 giugno 2008
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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