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Obama in tour, analisi della tappa al Cairo

di Martino Pillitteri

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29 maggio 2009
Barack Obama (Epa)

Molti giornali arabi ed opinion maker stanno dibattendo sull'importanza della visita di President Obama in Egitto. Perché il neo presidente ha scelto la terra dei Faraoni? Che cosa dirà? Qual è il denominatore comune tra la famosa intervista rilasciata ad Al Arabiya, il discorso al Parlamento turco e quello che questi terrà al Cairo il prossimo 4 giugno? La risposta viene da Washington: "sarà un ampio discorso sui nostri rapporti con i musulmani nel mondo", ha detto il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs.

Invece, una curiosità ancora pendente riguarda la location cairota. Obama darà sfogo a tutta la sua dialettica e al suo appeal dal parterre delle Piramidi di Giza? Parlerà di giorno oppure sarà più suggestivo parlare di notte con alle spalle la sfinge ? Lo farà dal parlamento egiziano? Un noto blogger egiziano che è spesso citato come fonte di notizie e di analisi da vari media inglesi e americani che scrive sotto lo pseudonimo di Sandmonkey, ha invece proposto due luoghi simbolici come il Manssah, la tomba dove è sepolto Sadat, ( il presidente egiziano ucciso dagli adepti appartenenti alla Fratellanza Musulmana, movimento che va ancora molto di moda al Cairo) e il parco di Al Azhar, una bella e verdeggiante oasi, proprio davanti all'università di Al Azhar, il centro di riferimento del pensiero sunnita più importante al mondo, dove l'antiamericanismo e le fatwe più bizzarre che assillano l'esistenza di milioni di egiziani sono sempre più di casa.

Non sarà suggestivo, non sarà mediatico, non sarà coreografico, non sarà Hollywoodiano, ma simbolico e storico probabilmente si: parlare al mondo in un periodo di guerre e di sfiducia davanti alla tomba di un presidente come Sadat, definito dagli egiziani l'eroe della pace e della guerra avrebbe il potere di comunicare una visone di pace tra Israele e il mondo musulmano senza dover mai nominare lo stato ebraico e i suoi nemici. Per quanto riguarda la seconda location, considerando che l'università di Al Azhar è una sorta di Vaticano sunnita e il luogo dove vengono formati i futuri Imam musulmani, il parco adiacente all'istituzione religiosa in questione sarebbe un luogo ideale per comunicare che l' America non è in guerra con l'Islam.

Ci sarebbe anche un terzo posto. E' una location meno esotica, dove la maggioranza delle persone non professa neppure la fede islamica, ma chi lo fa potrebbe essere la chiave per attenuare alcune crisi geopolitiche ed agire da anticorpi nei confronti delle spinte fondamentaliste. E' l' Europa, tappa successiva dopo quella egiziana del tour del Presidente Obama. Un bel discorso ai musulmani nati nel vecchio continente, dunque rivolto alle seconde generazioni euro musulmane cui spetta il compito di costruire l'Islam europeo, potrebbe essere un investimento che darebbe i suoi frutti nel lungo termine e dovrebbe essere considerato con attenzione. La stragrande maggioranza delle 2G euro musulmane, pur mantenendo le loro radici storiche e religiose, sono come un tronco i cui rami crescono sani e incontaminati dalle ideologie e della teorie cospirative. Il valore aggiunto e la ricchezza delle seconde generazioni euro-arabe musulmane e dei figli delle coppie miste riguarda il fatto che essi sono liberi. Non devono scegliere l'Islam dei loro genitori, dei loro vicini di casa, quello del quartiere, quello della città, della società, dei telepredicatori su Al Jazeera. Una società libera come quella europea permette di sperimentare nuove vie, di percorrere nuove strade,di favorire nuove interpretazioni e nuovi linguaggi che i loro cugini e amici in medio oriente non possono neppure contemplare in pubblico.

E' qui in Europa che i musulmani possono rompere i tabù che al Cairo incontrano tanta resistenza come i matrimoni misti, le conversioni, il rispetto dell'ateismo, la valorizzazione del pluralismo, le gerarchie interne, l'emancipazione delle donne e dei giovani, la libertà di espressione ed anche l'autocritica. Sono loro la terza voce che media tra gli europei scettici nei confronti dei musulmani in medio oriente e quei musulmani che non capiscono perché il west non si fidi di loro. Quando alcune seconde generazioni euro arabe torneranno nei loro paesi di origine, porteranno con sé una cultura laica, esigeranno good governance da parte dei politici, e contribuiranno a smontare le logiche di chi in medio oriente continua a politicizzare l'Islam. E perché no, forse qualcuno di loro con il doppio passaporto potrà anche diventare un nuovo Barack Hussein Obama. Il change in medio oriente potrebbe partire dall'Europa. Il prossimo Hussein al potere al Cairo, ad Amman o a Tunisi potrebbe essere già nato e si sta fumando un Narghilè e gustando un cappuccino a Milano, a Londra o Parigi.

29 maggio 2009
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