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I ministri-ombra della nuova amministrazione

di Mario Margiocco

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18 gennaio 2009
Robert Rubin e Lawrence Summers

Scelti, si è detto, in base all'esperienza, gli uomini della squadra economica hanno così tanta esperienza da averci rimesso anche un po' di reputazione, a parte lo stimatissimo ma ottantunenne Paul Volcker, consigliere speciale. Obama riporta alla guida dell'economia anche chi non ha visto in tempo i guai all'orizzonte. Con McCain non sarebbe andata meglio: fino all'estate 2008 il suo consigliere numero uno era l'ex senatore Phil Gramm, il campione della deregulation a tutti i costi. Ma Robert Rubin e Lawrence Summers, immortalati in una famosa copertina di Time del febbraio '98 insieme ad Alan Greenspan come "Il comitato per salvare il mondo" dalla crisi monetaria asiatica e altro, erano fino a ieri sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda di Gramm.
Rubin (National economic council dal '93; Tesoro dal '95 al '99, poi a Citigroup), che non può certo dirsi estraneo ora al disastro della banca, è il consigliere-ombra numero uno di Obama, potente in tutta la macchina per la selezione del personale, e altro. Solo il crack Citigroup non gli consente più di apparire, come ha fatto fino a pochisime settimane fa, nelle foto di famiglia. Summers, prima a lungo vice e poi successore di Rubin come ministro del Tesoro (1999-2000) sarà ora alla guida del National economic council, una carica che non prevede la conferma da parte del Senato dove forse non sarebbe passata. C'è poi Timothy Geithner, protégé di Rubin e Summers, candidato al Tesoro. I pecadillos fiscali ora emersi e che ne ritardano la nomina sono il meno, forse. Il bagaglio è appesantito dal recente salvataggio della Citigroup di Rubin; dal fallimento di Lehman Brothers; e dall'aver presieduto dall'ottobre 2003 come capo della locale Fed alla piazza di New York senza accorati allarmi. Greenspan (Fed, 1987-2006), come repubblicano estraneo al team Obama, è da sempre in perfetta sintonia con Rubin.
Tre episodi, il primo poco noto, e due ricordati recentemente dalla stampa americana, aiutano a capire clima, mentalità, responsabilità. Nell'ultimo fine settimana di agosto 2005 si teneva a Jackson Hole, la Cortina d'Ampezzo del Wyoming, l'annuale meeting di banchieri centrali ed economisti organizzato dalla Fed di Kansas City. Era una celebrazione dei 18 anni di Greenspan, ormai in uscita, con Rubin di Citigroup speaker d'onore («racconto la storia di un'intesa perfetta tra Alan, Larry e me») e un'unica nota stonata. La provocò Raghuram Rajan, economosta indiano, allora all'Fmi oggi all'Università di Chicago. In un intervento dal titolo già chiaro, (La crescita finanziaria ha reso il mondo più rischioso?), Rajan diceva che c'erano nuovi rischi, citava i cds, credit default swaps, e parlava di un possibile «mercato interbancario congelato», con una conseguente «crisi finanziaria di prima grandezza». Quanto è successo.
Summers, l'ex ministro del Tesoro e allora presidente di Harvard, partì alla carica, ribadì di «aver imparato molto da Greenspan», definì l'intervento di Rajan ampiamente sbagliato. Un lungo ragionamento, che assimilava la rivoluzione finanziaria a quella dei trasporti, indicava che per Summers tutto si stava svolgendo, nel 2005, nel migliore dei mondi possibili.
Secondo episodio, più noto. Greenspan, Rubin, Summers, e l'allora presidente della Sec Arthur Levitt Jr., l'unico ad avere fatto ammenda, si scagliarono nel '98 contro Brooksley Born, avvocato di Washigton e resposanbile della Commodity futures trading commission, decisa a porre sotto controllo i derivati. Volarono parole grosse, Summers assai meno diplomatico di Greenspan accusò la Born di provocare una crisi finanziaria, intervenne sul Senato e la Cftc perse la giurisdizione in materia. La Born aveva semplicemente detto che «i derivati minacciano i nostri mercati regolamentati e l'intera nostra economia senza che nessuna agenzia federale ne tenga conto». È quanto si è verificato. Poco dopo la Born si dimetteva.
Terzo, Summers è stato da ministro il gran lobbista che ha portato a fine '99 all'abolizione del Glass-Steagal Act, passo cruciale verso l'espansione non regolata dei mercati, offuscando le distinzioni fra banche e non-banche e i confini fra i vari tipi di investimento. L'abolizione nell'aprile 2004 da parte della Sec (Summers non c'entra, ma Rubin a Citigroup sì) di una norma sul rapporto investimenti-debito delle banche d'affari, affidato da lì in poi all'autocontrollo,completava il quadro.
«Il nuovo, brillante sistema finanziario ha fallito la prova dei mercati» sentenziava Volcker nove mesi fa. Uomini capaci, non colpevoli per distrazione, ma per convinzione, convinti cioè erroneamente che le regole fossero ormai del tutto cambiate, e corresponsabili del tutto, sono di nuovo sul ponte di comando. Dieci anni fa rappresentavano Wall Street a Washington. Non ne hanno visto il suicidio. Sapranno ricostruirla?

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