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Il trattato di Rio del 1992 aveva già confermato la necessità di interventi «comuni ma differenziati» da parte dei paesi in via di sviluppo. Mentre Cina e altri paesi in via di sviluppo possono chiedere un trasferimento delle tecnologie dalle nazioni industrializzate, l'Ue e gli Usa possono ribadire che ciò non deve andare a discapito della proprietà intellettuale. Ancor più importante, ciascun partecipante dovrebbe assumersi l'impegno di far fronte ai propri obiettivi, e di fare il possibile perché tutti insieme pervengano a quel livello di riduzione delle emissioni che gli scienziati ritengono indispensabile. Ciò è in contrasto con Kyoto, dove i paesi sviluppati adottarono obiettivi identici. Un cambiamento difficile da adottare per l'Ue, in quanto le sue aziende dovranno rispettare una serie di parametri molto più rigidi di quelli della concorrenza negli Stati Uniti o altrove. Viste le circostanze questo è il meglio che possiamo augurarci.
Gli atteggiamenti degli americani sul cambiamento climatico si sono evoluti sotto l'amministrazione Obama, ma le realtà politiche limiteranno i progressi che gli Usa potranno fare a Copenhagen e nel periodo successivo. Quanto prima queste limitazioni saranno prese in considerazione, tanto maggiori saranno le probabilità di raggiungere un significativo accordo. Benjamin Franklin disse una volta ai coloni americani: «Dobbiamo stare assieme o fineremo insieme». E la stessa cosa vale oggi per Stati Uniti e Unione Europea.
© Project Syndicate, 2009
(traduzione di Anna Bissanti)
L'autore è stato caponegoziatore Usa a Kyoto e sottosegretario di Stato nella amministrazione Clinton