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Quattro nodi da sciogliere ora o mai più

di Connie Hedegaard

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7 dicembre 2009

Ci sono momenti cruciali nella Storia in cui il mondo può scegliere di imboccare una strada piuttosto che un'altra. La conferenza del clima di Copenhagen è uno di questi: potremo infatti scegliere se imboccare la strada che conduce al benessere verde e a un futuro più sostenibile; oppure quella che porta a un vicolo cieco, dove non si fa nulla per il clima e si preferisce lasciare che siano i nostri figli ei nostri nipoti a pagare un enorme prezzo. Non si tratta di una scelta così difficile.

L'obiettivo del governo danese è chiaro: ci stiamo adoperando per un accordo ambizioso e globale che riduca le emissioni di gas serra e trovi risposte adeguate per l'adattamento necessario, le tecnologie e i finanziamenti. Inoltre Copenhagen dovrebbe portare a fissare una scadenza improrogabile per firmare un accordo legalmente vincolante. Il tempo è elemento prezioso, perché per ogni giorno che aspettiamo, il prezzo da pagare aumenta e le conseguenze del cambiamento del clima, potenzialmente catastrofiche, si moltiplicano. Secondo l'Agenzia internazionale per l'energia, ogni anno sprecato per inazione ci costerà 500 miliardi di dollari. Dobbiamo sfruttare lo slancio affinchè i leader del mondo reagiscano con tempestività.
La scadenza di Copenhagen serve: uno alla volta i governi stanno assolvendo al loro dovere in vista della conferenza che si apre domani. Di recente, Brasile e Corea del Sud hanno fissato obiettivi concreti e la Russia ha rilanciato la sua determinazione ad agire. Il presidente Obama ha annunciato gli obiettivi degli Stati Uniti, non soltanto per il 2020, ma- forse più interessanti - quelli per il 2025 e il 2030. Una riduzione delle emissioni del 4% rispetto ai valori del 1990 forse non è quello che il mondo auspicava, ma gli Usa sembrano consapevoli ormai che il prezzo da pagare per il ritardo accumulato è che dopo il 2020 le riduzioni dovranno essere molto più consistenti, pari al 18% in meno rispetto ai livelli del 1990 nel 2025 e del 32% nel 2030. Altrettanto degno di nota è che la Cina si sia fatta avanti apertamente: ora dobbiamo analizzare con attenzione in quali termini si tradurrà l'annuncio cinese di prendere le distanze dal modus operandi usuale.

Tutto ciò è un segno evidente che la scadenza di Copenhagen funziona e chei leader internazionali avvertono le forti pressioni derivanti dalle aspettative di cittadini, aziende e società. Adesso è giunta l'ora per i leader di onorare gli impegni presi e assicurare che a Copenhagen ci sia un accordo ambizioso e veramente globale sul clima. La Danimarca non ha fissato la scadenza di dicembre 2009. Con l'Action Plan di Bali, la comunità internazionale aveva deciso tutta insieme che il Cop-15 di Copenhagen dovesse diventare il punto di svolta nella campagna necessaria a farsì che il mondo imbocchi una strada più sostenibile. Firmarono quell'accordo 192 paesi, e adesso dobbiamo far sì che questa scadenza non ci sfugga dalle mani. I leader internazionali hanno promesso ai cittadini di questo pianeta di trovare una soluzione. Adesso è il momento di far fronte a queste responsabilità.

L'intesa dovrebbe rispondere a quattro sfide: 1) prevedere obiettivi vincolanti peri paesi sviluppati di riduzione delle emissioni di gas serra con scadenze a medio e lungo termine e mettere le economie in via di sviluppo sulla strada giusta per un futuro più verde e più pulito; 2) prevedere di aiutare i paesi più vulnerabili, quelli che saranno colpiti per primi e in forma più dura; 3) attirare nuovi finanziamenti, alcuni dei quali dovranno sovvenzionare l'adattamento dei Paesi in via di sviluppo; 4) definire in che termini potremo collaborare tutti insieme per sviluppare e diffondere tecnologie e know how. Queste sono le quattro pietre angolari che a Copenhagen dovremo garantire. Non abbiamo alternative. Il tempo è scaduto: facciamo quello che va fatto.
traduzione di Anna Bissanti

7 dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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