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Fissare obiettivi raggiungibili tra 15 anni

di Michael Spence

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7 dicembre 2009

É opinione largamente condivisa che alcune attività umane, in primis l'utilizzo di combustibili fossili, contribuiscano ad aumentare in modo significativo la concentrazione di gas serra nell'atmosfera. Questi gas, in particolare il CO2, acuiscono il rischio di arrecare gravi danni al clima. Ciò significa che i limiti da imporre al nostro consumo di combustibili fossili non possono quantificarsi soltanto in termini di disponibilità dei rifornimenti, ma devono tener conto anche dei costi ambientali.

Sussiste una notevole incertezza in relazione alla portata dell'impatto sulle temperature e sul clima di questi livelli in aumento di gas serra nell'atmosfera. Questa incertezza deve essere tenuta in debito conto. I Paesi in via di sviluppo e in forte crescita quali Brasile, Russia, India, Cina e altri nel G-20- comprendono collettivamente la metà della popolazione umana. Se continueranno nelle loro robuste traiettorie di crescita, come plausibile, si avvicineranno ai livelli di reddito dei Paesi avanzati entro la metà del secolo o poco dopo.

A quel punto, la percentuale della popolazione mondiale avente livelli di reddito da Paese industrializzato (circa 20mila dollari o più) salirà dal 16 al 66% del totale. Se tutti i nuovi ricchi adotteranno i modelli attuali di consumo energetico dei partner più ricchi, la battaglia per il cambiamento del clima sarà perduta. Senza un intervento di contenimento sulle concentrazioni di biossido di carbonio nell'atmosfera, e dando per scontato che i Paesi in via di rapido sviluppo raggiungano gli attuali livelli dei paesi avanzati in fatto di emissioni procapite di CO2 (tra le 10 e le 11 tonnellate, ma anche molto più in America del Nord), l'attuale media globale di 4,8 tonnellate tra cinquant'anni sarà pressoché raddoppiata e potrà raggiungere le 8,7 tonnellate.
Tutto ciò contrasta fortemente con le stime più recenti di emissioni di CO2 ritenute ragionevolmente sicure, come ha calcolato l'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite. Per scongiurare un peggioramento del cambiamento del clima - secondo l'Ipcc - le emissioni dovrebbero essere ridotte globalmente a 2,3 tonnellate procapite, ovvero più o meno della metà della media procapite, entro i prossimi 50-75 anni. Al ritmo attuale, invece, e senza un significativo sforzo di riduzione e contenimento, entro la metà del secolo avremo raggiunto il quadruplo del livello ritenuto sicuro.

I paesi avanzati sono stati fino a tempi recentissimi i principali responsabili delle emissioni di biossido di carbonio, ma i consumi energetici aumentano di pari passo con l'aumentare del reddito procapite. Cina e India, che contano il 40% della popolazione mondiale, prima che la crisi le colpisse nel 2008 avevano fatto registrare un aumento record del loro Pil, pari al 9-10% annuo, e verosimilmente nel periodo che seguirà la presente crisi riprenderanno a crescere con una velocità simile, il che implica che le loro economie raddoppieranno di volume ogni 7-10 anni. Il loro contributo alle emissioni totali aumenterà nella stessa misura.

Anche altre economie stanno facendo passi avanti a ritmi di crescita relativamente alti. Di conseguenza mentre molti paesi sviluppati e in via di sviluppo perseguono iniziative e provvedimenti a tutto campo per aumentare l'efficienza energetica e adottare tecnologie a base di energie pulite, le loro tecnologie esi-stenti, i loro incentivi, le loro normative e i loro impegni implicano che nei prossimi decenni assisteremo a un picco considerevole delle emissioni totali di anidride carbonica. Malgrado l'obiettivo dell'Ipcc fissato per le emissioni annuali procapite di CO2, ancora non sappiamo con precisione quanto riscaldamento sarà provocato dai vari livelli possibili di concentrazione di gas serra nell'atmosfera. Le stime al momento sono quanto mai variabili, anche dopo ricerche che durano da un quarto di secolo e ciò è dovuto alla complessità dell'ambiente stesso. Questa è una delle ragioni per le quali una riduzione efficace dei livelli globali delle emissioni va incontro necessariamente a grandi difficoltà.

In effetti, non è logico presumere che un Paese, ricco o povero che sia, debba fissare o concordare obiettivi su un arco di tempo di 50 anni. Considerata la natura stessa del problema - processo decisionale graduale, incertezza su tutti i parametri più importanti (compresi costi, schemi di efficienza della riduzione, tecnologia) - sarebbe più saggio adottare una strategia più flessibile che fornisca incentivi e normative in grado di raggiungere progressi intermedi misurabili, pur continuando nel frattempo a generare molte utili informazioni.

In altre parole a mio avviso dovremmo concentrare i nostri sforzi su un arco di tempo più breve, per esempio i prossimi 15 anni. Sul lungo periodo, coronati da successo, tali risultati avranno bisogno di importanti progressi tecnologici e di una loro ampia adozione. Poiché oggi l'esito di tutto ciò è tuttora ignoto, la sfida iniziale sarà quella di dare comunque inizio a una considerevole limitazione delle emissioni e a un processo conoscitivo, creando incentivi forti per la tecnologia che aumentino l'efficienza energetica e riducano le emissioni di CO2 sul lungo periodo.

  CONTINUA ...»

7 dicembre 2009
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