COPENHAGEN - Per ricordare – casomai ce ne fosse bisogno – che mettere d'accordo 192 paesi del mondo è un'impresa biblica, ieri sera a Copenhagen è scoppiata una piccola bufera diplomatica. Il quotidiano inglese The Guardian ha pubblicato, sul proprio sito, una bozza di accordo preparata dalla presidenza danese. E i paesi emergenti e in via di sviluppo – il cosiddetto gruppo dei 77 – hanno caldamente (e in qualche caso rumorosamente) protestato.
«Noi non intendiamo far deragliare questo negoziato - dice Lumumba Stanislaus Di-Aping, il diplomatico sudanese che guida il G77 – per il semplice motivo che non è nel nostro interesse. Però siamo qui per concordare su un accordo che sia giusto ed equo. E invece, la presidenza danese del vertice, pensa solo a far felici gli americani». Il testo punta a stabilire una data (non indicata in bozza) dove anche le emissioni dei paesi emergenti dovrebbero raggiungere il picco, per poi scendere. Un dettaglio questo, auspicato dagli americani (forse per far meglio digerire al Senato la legge climatica che non vuole approvare) e che, oggettivamente, non era sin qui incluso nei negoziati. Le organizzazioni non governative, come il Wwf, si sono aggiunte al coro delle proteste.
Con ogni probabilità, si tratta di una tempesta in un bicchier d'acqua: un passaggio abituale, nel copione di questi negoziati internazionali. «Quello danese è un testo non ufficiale – s'è affrettato a dire Yvo De Boer, il capo della diplomazia climatica dell'Onu – è un'ipotesi di lavoro. L'unico testo ufficiale è quello sul tavolo della presidenza». Se non altro, però, dà la misura delle tensioni di questo summit e dell'alta posta in gioco. E, forse, segnala una qualche spaccatura in seno al G77: anche Cina, India, Brasile e Sudafrica – come ammette Di-Aping – hanno preparato una bozza di accordo. Ma senza gli altri 73.
Anche le aspettative, hanno i loro alti e bassi. Dopo il clima marcatamente ottimista della cerimonia di apertura, ieri il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, in un'intervista rilasciata in Cina a una tivù francese, ha raffreddato gli entusiasmi. «Non credo che a Copenhagen arriveremo a un trattato», ha detto. «Ci sono paesi che non si sono preparati abbastanza. Quel che cerchiamo di raggiungere è un accordo» che, al momento giusto, si trasformerà in un trattato. Presumibilmente, nell'arco di sei mesi.
Ma se gli entusiasmi si raffreddano, altrettanto non si può dire del clima. Ieri Michel Jarraud, il presidente dell'Organizzazione meteorologica mondiale, ha messo sul tavolo di Copenhagen nuovi dati: il decennio 2000-2009 è il più caldo di tutti i tempi. O meglio, il più caldo da due secoli, quando sono cominciate le rilevazioni. E questo 2009 ormai agli sgoccioli, viene ritenuto il quinto anno più caldo. E, a detta di Jarraud, non ci sono dubbi sulla tendenza al riscaldamento, che coincide con la crescente concentrazione di CO2 nell'atmosfera. «Questo decennio – ha detto – è stato più caldo degli anni 90 che, a loro volta, sono stati più caldi degli anni 80». È proprio per questo, che la diplomazia internazionale sta faticosamente cercando una soluzione.
twitter.com/24copenhagen