Al vertice climatico di Copenhagen, adesso che manca poco più di un giorno alla conclusione ufficiale, si comincia a respirare un'aria di resa.
«Le notizie non sono belle», rimarca il cancelliere Angela Merkel. «Onestamente, devo dire che l'offerta americana di ridurre le emissioni del 4% rispetto ai livelli del 1990 non è certamente ambiziosa». «Fra poco - aggiunge il ministro indiano Jairam Maresh - comincerà il gioco delle reciproche accuse». «Temo che la forma avrà la meglio sulla sostanza», dice il premier australiano Kevin Rudd. Ufficialmente, Cina, Usa e Europa continuano a dire che c'è ancora speranza. Anche se, un anonimo diplomatico cinese ha detto alla Reuters che la Repubblica Popolare si aspetta di arrivare solo a una vaga dichiarazione politica.
Il segretario di Stato Hillary Clinton, arrivata stamani, ha cercato di aprire qualche spiraglio alla trattativa, promettendo di contribuire al fondo da 100 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi poveri ad affrontare il cambiamenti climatici. «Gli Stati Uniti sono pronti a fare la loro parte», ha detto la Clinton, chiedendo nuovamente alla Cina di accettare controlli internazionali sulle proprie emissioni di gas-serra. Al momento, non è neppure sicuro al 100% che Barack Obama salga oggi sull'Air Force One per la prevista missione a Copenhagen.
Il premier britannico Gordon Brown, che fino a pochi giorni fa chiedeva all'Europa di gettare il cuore oltre l'ostacolo e di puntare al 30% di riduzione delle emissioni entro il 2020 (sette volte più dell'America), stamani ha suggerito di accordarsi sulla firma di un nuovo trattato internazionale «entro sei mesi».
Implicitamente, Brown ha in qualche modo dato ragione a Hugo Chavez e al suo fervente discorso di ieri, sulle disparità del mondo. «Giustamente - ha detto il primo ministro inglese - la gente dice che se possiamo finanziare il salvataggio delle nostre banche dai banchieri, possiamo anche, con il giusto sostegno finanziario, salvare il pianeta dalle forze che, viceversa, lo distruggerebbero. Credo che nulla, sia nell'interesse di ogni nazione più del destino dell'unico mondo che abbiamo».
Altre parole scorreranno, a fiumi, oggi: dentro l'aula plenaria dove ha parlato Brown, si succederanno al microfono i capi di Stato e di Governo di tutti i paesi del mondo, ricchi e poveri, grandi e piccoli. E altri fiumi ancora scorreranno negli incontri bilaterali, nel tentativo - non ancora defunto - di raggiungere qualcosa di più delle ennesime parole al vento. Inutile dire che gli scienziati, qui a Copenhagen e altrove, hanno già cominciato a rammentare la dura realtà: il celebre obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media globale entro i due gradi centigradi, è praticamente compromesso.