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L'intesa parte dalle foreste

di Marco Magrini

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3 dicembre 2009

Sull' albero del destino climatico planetario, dove 192 Paesi del mondo cercheranno di cogliere le opportunità per ridurre le proprie emissioni di anidride carbonica, c'è un frutto più basso, più facile da cogliere. È il frutto della deforestazione.

L'abbattimento delle foreste, soprattutto quelle tropicali, toglie di mezzo ogni anno un'oceano di vegetazione che, grazie alla fotosintesi, si nutrirebbe e crescerebbe assorbendo centinaia di milioni di tonnellate di CO2. Questa pratica così diffusa - spariscono di media 13 milioni di ettari all'anno - contribuisce a circa un quinto dello squilibrio atmosferico provocato dalle attività umane.

Ieri, Yvo De Boer, il gran cerimoniere del vertice climatico dell'Onu che si apre lunedì a Copenhagen, si è detto sicuro che l'accordo ci sarà. Ma che, molto verosimilmente, verrà concluso e firmato solo fra sei o sette mesi, a metà 2010. I dettagli, le vere cifre, i meccanismi di mercato delle emissioni post-Kyoto, nonché le futuribili soluzioni per consentire al pianeta di schivare il boomerang dei combustibili fossili, sono ancora in alto mare. Ma una cosa appare già certa: il frutto facile della deforestazione, verrà colto.

Nel 97, all'atto di firmare il Protocollo di Kyoto, la deforestazione viene dichiaratamente esclusa dagli incentivi finanziari dei diritti sul carbonio. Nel 2005, i 192 Stati partecipanti ammettono: la deforestazione è dilagata, abbiamo sbagliato. Due anni fa, a Bali, la decisione di mettere in piedi un piano, battezzato Redd, per incoraggiare la diminuzione dei disboscamenti, fino ad arrestarli del tutto entro il 2020.
«Credo sia ormai scontato che sarà parte del nuovo accordo globale», ha detto alla Reuters Tony La Vina, presidente dei negoziati sul Redd. «Il fatto curioso è che, sul tavolo dei negoziati, questo è il progetto allo stato più avanzato».

Fa poca meraviglia: sulla bilancia dell'effetto-serra, la deforestazione (20%) pesa più di tutto il settore trasporti (18%) del mondo intero. E poi, basta pagare. Il Redd include già meccanismi di controllo e di calcolo sugli effettivi risultati, e i satelliti della Nasa che tracciano la deforestazione diranno con precisione se è vero o no. È facile quindi che certi Paesi industrializzati saranno ben contenti di assolvere a parte dei propri obblighi di riduzione ai certificati di carbonio che, si presume, circoleranno su un mercato finanziario planetario, e non più quasi solo europeo.

Proprio ieri, il Brasile – che quando si parla di foreste pluviali è la superpotenza mondiale – ha annunciato che presenterà a Copenhagen un proprio piano sulla deforestazione, dove si chiederà che i Paesi ricchi non possano usare il Redd per coprire più del 10% dei tagli alle emissioni che saranno chiamati a fare. «Altrimenti qualche Paese - dice il ministro brasiliano all'Ambiente, Carlos Minc - invece di ridurre le sue emissioni nelle proprie fabbriche e centrali elettriche, potrebbe abusare del programma». Il Brasile, dopotutto, ha sufficienti foreste da dover proteggere. E sufficienti soldi da poter incassare. Si stima che un mercato dei crediti di carbonio per compensare una ridotta deforestazione, varrebbe già nel 2013 alcuni miliardi di dollari l'anno.

I satelliti testimoniano che in Brasile, negli ultimi dodici mesi, sono stati abbattuti 7mila chilometri quadrati di foresta: il minimo da vent'anni. «Ma soprattutto grazie alla caduta dei prezzi del manzo e della soia – rimarca Paulo Gustavo, direttore della politica ambientale di Conservation International – che hanno scoraggiato la conversione da foresta a terreno agricolo».
Il presidente Lula ha pubblicamente festeggiato, anche per testimoniare dei successi delle forze dell'ordine nell'arginare il fenomeno. Detto questo, pare che il suo Paese, uno dei cinque grandi in via di sviluppo, offrirà a Copenhagen una riduzione fra il 38 e il 42% delle proprie emissioni previste per il 2020. È una buona offerta, che avrà il suo peso sui negoziati. Metà di questo sforzo, verrà proprio cogliendo il frutto più basso: un drastico stop alla deforestazione amazzonica.

Peccato che un rapporto pubblicato ieri dall'Agenzia internazionale per l'energia, sollevi forti dubbi sul funzionamento del Redd, che sarà costretto fra l'aumento dei consumi alimentari mondiali e l'alto livello di corruzione che domina i Paesi tropicali. Basti dire che in Indonesia, secondo le stime di Global Witness, la corruzione legata alla deforestazione illegale vale 2 miliardi di dollari, quanto il budget del sistema sanitario nazionale.
Il frutto della deforestazione è basso. Ma non così basso.

3 dicembre 2009
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