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Phnom Penh tra voglia di riscatto e corruzione

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18 novembre 2009

Un giorno, tanto tempo fa, un'anziana signora camminando lungo le rive del Mekong vide qualcosa che galleggiava sulle acque limacciose. Era un tronco d'albero che, portato dalla corrente, si avvicinava alla sponda. Non appena il legno toccò terra, la donna trovò al suo interno quattro statue di Buddha. Allora, per metterle al riparo, costruì una collina di pietre e vi sistemò il suo tesoro. La signora si chiamava Penh. Fu lei a creare, o forse più semplicemente a scegliere come nascondiglio per le statue, la collina che in Khmer si dice Phnom. Nacque così, secondo la leggenda, la capitale della Cambogia: Phnom Penh.

Le fonti storiche, d'altro canto, non ci dicono nulla della fondazione. Ci informano, piuttosto, che dove oggi sorge la città, ancora nel XIV secolo non c'era altro che un antico villaggio di pescatori. Fu solo con la caduta di Angkor del 1431, che i sovrani Khmer, in fuga verso sud, trasferirono qui la loro residenza. Una precauzione insufficiente, comunque, per sottrarsi alle mire espansioniste dei vicini di casa. Vietnamiti e Thailandesi, imponendo a turno il loro dominio, ridussero infatti la Cambogia ad uno stato cuscinetto. La situazione cambiò soltanto nel 1863, anno della conquista francese. Fino ad allora, Phnom Penh non aveva mai avuto una popolazione superiore ai 25000 abitanti.
Oggi, la capitale cambogiana è abitata da due milioni di persone e, per quanto possa sembrare "piccola" se paragonata alle vicine, caotiche e superaffollate Bangkok e Ho Chi Minh, non ha certo più nulla del vecchio villaggio di pescatori. La collina della signora Penh, però, è ancora al suo posto. Con i suoi 27 metri, svetta unica "altura" della capitale, nonché cuore della vita spirituale cittadina.

Per visitare Wat Phnom, scelgo di entrare dall'ingresso principale, sul versante orientale, dal quale si accede alla maestosa scalinata protetta dal Naga. Secondo alcune leggende, il mitico serpente a sette teste, vendicativo spirito protettore della città, si anniderebbe addirittura nel colle stesso. Di certo, io non lo incontro, mentre percorro la breve salita affrontando il sentiero invece delle scale. Mi imbatto, piuttosto, in alcuni gruppi di scimmie che saltano su e giù dagli alberi, incuranti dei cambogiani che fanno la mia stessa strada. In basso, nel parco che circonda il colle c'è un elefante, pronto per accogliere sul possente dorso qualche turista da trasportare fino alla Pagoda più antica della città.
Wat Phnom è un luogo di pace e spiritualità dove regna un profondo senso di armonia. Eppure non è certo un'oasi di silenzio e austerità, piena com'è di conducenti di tuk-tuk, donne che vendono bibite, fiori o incensi e di ragazzini che agitano gli uccellini in gabbia da comprare e liberare come offerta a Buddha, ma che, in realtà, sono ammaestrati e vengono subito recuperati dal venditore. Lungo la stradina che porta al santuario, poi, i monaci e i pellegrini si alternano alle famiglie, ai mendicanti e ai bambini che giocano o che danno da mangiare alle scimmie.

Per vedere gli abitanti Phnom Penh riversarsi in massa per le strade, tuttavia, bisogna andare al tramonto sulle rive del Tonle Sap, poco prima che le acque del grande lago, qui trasformato in fiume, si incontrino con il Mekong. Verso il crepuscolo, i cittadini amano passeggiare su questa bella "promenade" dal sapore coloniale, e camminano avanti e indietro come fossero sul lungomare di un centro sulla costa francese. Qualcuno si gode lo spettacolo del sole che si eclissa nelle torbide acque del fiume, altri condividono un rituale affascinante e diffuso in gran parte dell'Asia, pur con significative varianti. I partecipanti si avvicinano all'acqua, a gruppi, recitando delle preghiere. Uno tiene in mano una grande foglia con dei fiori e un lumino, fino a quando la deposita nel fiume. Alcuni ragazzi accompagnano, poi, al largo l'offerta galleggiante, nuotando tra le onde leggere. E' un rito ancestrale che coinvolge acqua e fuoco, una cerimonia simile alla Ganga Aarti, celebrata ogni sera dagli indiani sulle rive di un altro dei fiumi più importanti del mondo.

Questa volta voglio godermi lo spettacolo da una barca. Non sono ancora riuscito a navigare le acque cambogiane per via della tempesta che, da una oltre una settimana, rende difficile quando non impossibile l'operazione. Per venire a Phnom Penh ho dovuto abbandonare l'idea di seguire il Tonlè Sap e optare per un comodo, ma ben poco affascinante, autobus che percorre la nuova strada asfaltata da Siem Reap alla capitale.
Arrivato all'approdo, a due passi dal mio hotel, non faccio in tempo nemmeno a guardarmi intorno che una piccola folla di barcaioli si mette a gareggiare per caricarmi, ognuno sulla propria nave.
"Salga, quindici dollari per un ora. Per vedere il tramonto. Andiamo fino alla confluenza con il Mekong".
"Le affitto la nave per 10 dollari, solo 10 dollari." Mi rendo conto, d'un tratto, che non mi stanno vendendo un posto sulla loro imbarcazione. Mi stanno mettendo a completa disposizione interi battelli che, in bassa stagione, non sanno come riempire.

  CONTINUA ...»

18 novembre 2009
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