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Phnom Penh tra voglia di riscatto e corruzione

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18 novembre 2009

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Salgo a bordo, unico passeggero di questa grande barca illuminata da tante lampadine, come addobbi di Natale. Mentre solchiamo lentamente le placide acque sempre più scure, sulla mia destra scorrono le sponde affollate di gente e l'elegante sagoma del palazzo reale di Sihanouk, con la magnifica Pagoda d'Argento, mentre sulla sinistra vedo il sole che si inabissa all'orizzonte, colorando d'arancione il Mekong.
Ma Phnom Penh non è solo questo. Accanto alla città che torna a vivere dopo la devastazione dei Khmer Rossi e i lunghi anni bui della guerra civile, c'è la zona dei bordelli, degli "hostess bar". C'è, poi, quella ancor più cupa che fa da squallido scenario agli abusi sui minori. E' invisibile, ma tutti sanno che esiste.

Dietro le luci del lungofiume, cuore pulsante della vita di una Phnom Penh esuberante e briosa, c'è una ragnatela di viuzze buie, illuminate quasi solo da rosse insegne al neon. Qui, si riversano frotte di occidentali (e molti cambogiani) pronti a lasciarsi adescare da un esercito di schiave obbligate a sorridere a promettere notti di fuoco. La verità è che molte di loro, violentate fin da bambine, sono state vendute da adolescenti a qualche bordello dal quale sono uscite solo per cambiare padrone. Basta leggere la coraggiosa biografia di Somaly Mam, ormai famosa anche in occidente, che da questa situazione è riuscita ad uscire. Ha fondato un'Ong e dedica la sua vita a salvare le ragazze condannate alla sua stessa sorte.

L'altra faccia di Phnom Penh è anche quella del Boeng Kak, il laghetto nella zona nordoccidentale della città, attorno al quale sorgono la maggior parte delle guesthouse più economiche. Area prediletta dagli hippies in tempi passati e, ancor oggi dai backpakers, carica di un'atmosfera suggestiva per quanto decadente. E' questo il quartiere dove è più facile trovare della droga. Non riesco, infatti, neppure a scendere dal tuk-tuk, che il conducente mi sventola sotto il naso un grosso pacco di marijuana che vuole rifilarmi al prezzo di 10 dollari. Per quanto gli ripeta che non sono interessato, non si rassegna. Per lui, se sono venuto fin qua, il motivo non può essere che quello. Da quando mi allontano, in effetti, ogni dieci metri sbuca qualcuno che mi propone la stessa mercanzia.

Ma il problema di Boeng Kak non è questo. E' l'ennesimo scempio del governo che vedo con i miei occhi, mentre bevo una birra Angkor, su di una terrazza. Il lago, oltre i tetti di lamiera che lo circondano, è mezzo interrato e assomiglia, ormai, più ad una pozza d'acqua stagnante. Il bacino deve sparire per fare posto ad una nuova area edificabile, che,naturalmente, significa nuovi soldi da spartirsi. E tanto peggio per chi ha la sfortuna di abitare in una baracca da quelle parti.
"Ventimila persone residenti nei pressi del Boeung Kak sono a rischio di sgombero forzato- avvisa Amnesty International nel rapporto annuale del 2009. "Diverse comunità fatte sgomberare a Phnom Penh sono state reinsediate in zone prive di infrastrutture, acqua, elettricità e fognature. La distanza tra le loro ex abitazioni e la città ha significato per molti la perdita dell'accesso ai mezzi di sostentamento".

E' la legge di Hun Sen, signore della moderna Cambogia . Un uomo dalla carriera brillante, sempre pronto a cambiare pelle pur di rimanere sulla breccia. Guerrigliero di Pol Pot, suo seguace nei primi anni del regime, passò dalla parte dei vietnamiti al momento giusto. Arrivò a ricoprire, a soli 28 anni, la carica ministro degli esteri nel nuovo esecutivo imposto da Hanoi, nell'80. Divenuto, quindi, una delle figure più importanti del Cambodian People's Party, dovette aspettare appena cinque anni per insediarsi come primo ministro. Da allora, per 24 anni, ha sempre ricoperto la stessa carica. Nemmeno l'uscita di scena dei vietnamiti, suoi protettori, lo ha fatto vacillare.
Come mai in Cambogia esiste la piaga della prostituzione e della pedofilia si domanda incredulo l'Occidente? Eppure non mancano le voci, insistenti, provenienti da più parti, che denunciano uomini politici di primo piano, poliziotti, autorità varie che fanno i soldi, come proprietari e azionisti dei più grossi e importanti bordelli. Somaly Mam, nella sua biografia, racconta di agenti di polizia che riportano le ragazze ai magnaccia dai quali sono scappate, in cambio di denaro. E, loro, sono solo i pesci più piccoli. Quelli davvero grossi, evidentemente, stanno nella cerchia di Hun Sen o del suo governo…

Perché viene espropriata la terra ai contadini, perché tutto ciò che è pubblico viene svenduto? La risposta è ancora lì, basta vedere chi si spartisce le fette della torta. La comunità internazionale ha elargito a questo esecutivo corrotto e prepotente, fondi per oltre due miliardi di euro dal '93, ovvero da quando l'Onu, con la missione dell'Untac, tentò piuttosto maldestramente di ripristinare la legalità in Cambogia.
Ma questo Paese che si finge democratico non è, in fin dei conti, diverso dai sistemi a partito unico. Certo, qui si vota ed esiste perfino un'opposizione. Ma, a forza di chiedere, qualcuno si trova che, a bassa voce, spiega cosa succede a chi non sceglie il partito da quasi trent'anni al governo. Soprattutto nelle campagne, dove tutti sanno a chi dai la tua preferenza. E se non hai messo la croce sul simbolo del CPP, mi raccontano, un giorno l'acqua smetterà di arrivare al tuo campo, non riceverai una data autorizzazione oppure verrai sfrattato. E allora ci sarà la fame, per te e per la tua famiglia. Ecco perché il partito di Hun Sen continua a stravincere ad ogni tornata elettorale. Acclamato da una stampa corrotta, condiscendente, o troppo spaventata per denunciare, per esempio, le incarcerazioni degli attivisti per i diritti umani.

  CONTINUA ...»

18 novembre 2009
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